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    India, studenti di Nuova Delhi picchiati a sangue all’università mentre la polizia resta a guardare: i racconti a TPI

    Facebook/CollectiveDelhi

    Nella capitale indiana si stanno consumando le più serie manifestazioni studentesche dagli anni ’70 contro le politiche del governo nazionalista hindu di Narendra Modi. Così, le università diventano campi di battaglia: lo raccontano studenti e professori colpiti dalle violenze squadriste a TPI

    Di Viola Stefanello
    Pubblicato il 7 Gen. 2020 alle 11:32

    Studenti in India picchiati all’università mentre la polizia resta a guardare: i racconti a TPI

    Erano oltre quaranta – i volti coperti da maschere o fazzoletti, in mano mazze, mattoni e barre di ferro – i militanti di estrema destra che il 5 dicembre hanno seminato il caos in una delle università più autorevoli dell’India.

    Oltre trenta persone, tra studenti e professori, sono state ferite gravemente durante una manifestazione pacifica alla Jawaharlal Nehru University (JNU), la più prestigiosa università pubblica del subcontinente indiano in campo umanistico. Da qualche settimana, l’università è attraversata da un moto di protesta contro l’innalzamento di tasse universitarie, precedentemente accessibili anche per gli studenti meno privilegiati, che si lega a un più ampio moto di scontento a livello nazionale contro il governo in carica.

    A condurre l’attacco nel generale immobilismo della polizia presente sono stati degli studenti membri dell’Akhil Bharatiya Vidyarthi Parishad (ABVP), un sindacato studentesco legato a doppio filo con il partito nazionalista hindu Rashtriya Swayamsevak Sangh (RSS) e con il governo di Narendra Modi – e noto per i metodi squadristi che adotta. Il sindacato – che conta 3 milioni di membri in tutta l’India ed è considerato una “scuola di partito” per entrare poi a far parte dei principali partiti conservatori e di destra del paese – ha negato il proprio coinvolgimento, ignorando le testimonianze di decine di presenti.

    ATTENZIONE: LE IMMAGINI DEGLI STUDENTI PICCHIATI ALL’UNIVERSITÀ IN INDIA POTREBBERO URTARE LA VOSTRA SENSIBILITÀ

    “Eravamo seduti fuori dall’università quando una quarantina di persone ci hanno aggredito, tirandoci sassi e cominciando a picchiarci”, racconta la studentessa ventitreenne Joan Sony Cherian, volto noto delle proteste contro l’aumento delle tasse universitarie. “Tantissimi studenti hanno cominciato a correre verso i dormitori cercando di mettersi in salvo. È in quel momento che i militanti dell’ABVP hanno fatto irruzione nel dormitorio, rompendo tutto quello che trovavano sulla loro strada: porte, mobili… hanno vandalizzato tantissime stanze. Gli studenti terrorizzati si nascondevano nelle stanze, tantissimi hanno preferito gettarsi dalle finestre per fuggire al caos che c’era all’interno”. La polizia, racconta Joan – e confermano varie testate internazionali – è rimasta a guardare.

    Foto e video dell’attacco si sono presto moltiplicati sui social network. In uno di questi, la presidentessa del principale sindacato studentesco della JNU, Aishe Ghosh, viene ripresa coperta di sangue, mentre pronuncia le parole: “sono stata brutalmente attaccata da militanti con addosso delle maschere. Non sono nemmeno nella condizione di parlare”.

    “Era tutto programmato. Lo dimostrano le chat su WhatsApp di cui abbiamo degli screenshot”, spiega Maitree, una ricercatrice trentenne che lavora alla stessa università – considerata in India uno dei principali bastioni del pensiero di sinistra nel paese. “Io stavo facendo dei video della situazione da distante, ma la polizia mi ha notata – mi è stato strappato il cellulare dalle mani. Ho detto loro che nel telefono non avevo nulla, ma mi hanno fatto aprire la Galleria e cancellare tutte le foto e i video che avevo fatto”.

    Si tratta dell’ultimo degli episodi di un’escalation di violenza che sta travolgendo l’India da quando, a inizio dicembre, il governo indiano ha cominciato a discutere e ha successivamente approvato una controversa proposta di legge sull’immigrazione che secondo i critici discriminerebbe contro i musulmani, violando la costituzione. La legge – chiamata Citizenship Amendment Act – è stata proposta dal Bharatiya Janata Party di Modi, maggior partito conservatore del paese e fautore di una politica fieramente nazionalista di forte difesa degli indù, maggioranza religiosa nel paese.

    Facilitando la regolarizzazione dei migranti non musulmani provenienti dai vicini Pakistan, Bangladesh e Afghanistan, i manifestanti denunciano che il partito di Modi vuole delegittimare i cittadini musulmani che vivono in India – violando allo stesso tempo il principio costituzionale che definisce l’India come una democrazia laica.

    Centinaia di migliaia di persone sono così scese in piazza in tutto il subcontinente nelle ultime settimane per protestare. Almeno 25 persone sono rimaste uccise in scontri con la polizia.

    Così, l’attacco dei militanti filonazionalisti contro gli studenti della JNU il 5 gennaio viene interpretato da diversi analisti come un semplice sintomo di una repressione sistematica del dissenso ben più ampia. “Viviamo un periodo storico in cui le differenze ideologiche nei luoghi di apprendimento saranno distrutte dalla forza bruta mentre lo Stato rimane – nel migliore dei casi – a guardare”, ha scritto il giornalista indiano Roshan Kishore sulle pagine dell’Hindustan Times.

    “Bollando come nemico della nazione ogni manifestante, si è sviluppata un’atmosfera di legittimazione di una violenza senza regole” e si  è arrivata alla “creazione sistematica di un’atmosfera di sospetto e odio”, ha detto il politologo indiano Suhas Palshikar, parlando alla BBC.

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