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    Quali sono le sfide della Francia dopo la vittoria di Macron

    I risultati delle elezioni nascondono una nazione divisa che deve affrontare la prepotente voglia di rivincita del Front National e dei partiti tradizionali. Il commento

    Di Giorgio Ferrari
    Pubblicato il 8 Mag. 2017 alle 10:07 Aggiornato il 11 Set. 2019 alle 00:17

    La vittoria di Emmanuel Macron, ampiamente annunciata se pure più consistente del previsto (a Parigi ha raggiunto il 90 per cento dei consensi), non nasconde uno dei problemi-chiave che la Francia dovrà affrontare nel breve futuro.

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    La Francia è una nazione profondamente divisa con un presidente che non ha una base elettorale solida. Non dispone di un vero partito (En Marche! è sostanzialmente una geniale start up che gli ha consentito di vincere proprio grazie al crollo del bipolarismo e della crisi profonda dei partiti tradizionali). E soprattutto con le imminenti elezioni legislative il paese si troverà di fronte alla prepotente voglia di rivincita non tanto del Front National (che pure ha raggiunto un record di consensi mai immaginato prima nonostante la teatrale sconfitta), quanto di quelle formazioni – come i socialisti e i Républicains – che sono usciti al primo turno ma che hanno abbondantemente portato acqua al mulino del giovane tecnocrate liberale.

    Ora già si mormora nelle retrovie della politica francese che Macron dovrà onorare certe cambiali e al tempo stesso deludere molti fra amici e sostenitori che si erano illusi di avere un posto di riguardo nel parterre de roi. Si prevede un gabinetto ristretto a sedici ministri, premier compreso, con assoluta parità fra uomini e donne.

    L’affermazione di En Marche!, la momentanea messa in angolo del pericolo lepenista consentiranno tuttavia alla Francia e all’Europa di riprendere un dialogo interrotto e meno viziato dallo spettro del populismo e dal timore che anche nel vecchio continente il vento anti-establishment che ha portato Trump alla Casa Bianca e il Regno Unito alla Brexit soffiasse vittorioso anche sui cieli della Francia.

    Sarà un’occasione preziosa per Parigi ma anche per Bruxelles, costrette dal soffio vorticoso della Storia a rimodellare il proprio identikit, perché questa è sostanzialmente la scommessa: riformare la Francia per riformare l’Europa, ricreare quell’asse con Berlino e con Roma che può imprimere alla Ue quell’inversione di marcia che ne scongiuri il declino.

    Macron promette che lo slancio che lo ha portato alla vittoria sarà ancora più forte nel cambiare il volto della Francia e della macchina dello Stato. Il giovane leader tuttavia sa bene che non deve farsi illusioni. “Milioni di patrioti hanno votato per te! Vincerai la prossima volta e anch’io vincerò!”, si è congratulato con Bleu-Marine l’olandese Geert Wilders, mentre il leader dell’Ukip Nigel Farage profetizza: “La vittoria di Macron significa altri 5 anni fallimentari, più poteri all’Unione Europea e il mantenimento dei confini aperti: se Marine resiste, può vincere nel 2022”. 

    Anche Marine Le Pen vuole cambiare, anzi deve, è costretta. Cambierà nome al movimento, cambierà tattica, forte di quei quasi 12 milioni di francesi che l’hanno votata. Vorrebbe un partito di opposizione forte abbastanza da tenere sulla corda il Paese e di poter vincere le elezioni del 2022. Ma anche lei dovrà fare i conti con la nomenklatura del Front National: alla vigilia già si dava per scontato che se fosse scesa sotto il 40 per cento avrebbe dovuto dimettersi. Ha preso solo il 35 per cento e da questo punto di vista la sua è una sconfitta bruciante.

    I giorni che verranno diranno se Bleu-Marine sarà ancora il condottiero di un movimento in forte crescita ma senza alcuna chance di arrivare in vetta. Un primato tuttavia lo ha già messo a segno: quello di guidare la principale forza di opposizione, superando anche il terzo inquietante partito, quello dell’astensione.

    — LEGGI ANCHE: Chi è Emmanuel Macron

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