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    Navalny, la moglie Yulia: “Putin ha ucciso mio marito. Continuerò il suo lavoro”

    Di Andrea Lanzetta
    Pubblicato il 19 Feb. 2024 alle 12:46 Aggiornato il 19 Feb. 2024 alle 17:53

    “Vladimir Putin ha ucciso mio marito Alexei Navalny ma continuerò il suo lavoro”. La denuncia arriva da Yulia Navalnaya, vedova del dissidente morto il 16 febbraio in un carcere di massima sicurezza nell’Artico russo e la cui causa del decesso resta ancora “indeterminata”.

    In un videomessaggio pubblicato oggi sui suoi profili social, Yulia Navalnaya ha accusato le autorità russe di aver nascosto il corpo del marito e di voler attendere la scomparsa delle tracce del veleno con cui sarebbe stato ucciso.

    “Vladimir Putin ha ucciso mio marito”, ha accusato la vedova, che però ha promesso di continuare l’opera del dissidente. “Voglio vivere in una Russia libera, voglio costruire una Russia libera. Continuerò il lavoro di Alexei Navalny”.

    Cosa ha detto Yulia Navalnaya
    “Putin mi ha portato via la cosa più preziosa che avevo. La persona a me più vicina e amata. Ma Putin vi ha portato via anche Navalny. Putin non ha solo ucciso Alexei Navalny, ma ha voluto uccidere con lui la nostra speranza, la nostra libertà e il nostro futuro. Per distruggere e sradicare la prova migliore che la Russia potrebbe essere diversa. Che siamo forti, che siamo coraggiosi, che crediamo e che stiamo lottando disperatamente e che vogliamo vivere diversamente”, ha detto la vedova dell’oppositore.

    “Mio marito era indistruttibile. Ed è proprio per questo che Putin lo ha ucciso. Vergognosamente, vigliaccamente, senza mai osare guardarlo negli occhi o semplicemente pronunciare il suo nome. E in modo altrettanto vergognoso e codardo, ora nascondono il suo corpo, non lo mostrano a sua madre, non lo restituiscono, e mentono pateticamente e aspettano che le tracce di un altro veleno scompaiano”.

    “Sappiamo esattamente perché Putin ha ucciso Alexei tre giorni fa. Ve lo diremo presto. Scopriremo chi ha commesso questo crimine e come lo hanno fatto. Faremo i nomi e mostreremo i volti”, ha aggiunto Yulia Navalnaya. “Uccidendo Alexei, Putin ha ucciso la mia metà. Metà del mio cuore e metà della mia anima. Ma c’è un’altra metà di me, che mi dice che non ho il diritto di arrendermi. Continuerò il lavoro di Alexei Navalny, continuerò la lotta per il nostro Paese. E vi invito a stare dalla mia parte. Condividete con me non solo il dolore, quel dolore infinito che ci ha avvolto e che non ci lascia andare. Vi invito a condividere la mia rabbia. La mia furia, il mio odio verso coloro che hanno osato uccidere il nostro futuro”.

    “Mi rivolgo a voi con le parole di Alexei, nelle quali credo moltissimo: ‘Non è vergognoso fare poco. È vergognoso non fare nulla. È vergognoso lasciarsi spaventare’”.

    L’indagine
    Il Cremlino ha negato ogni coinvolgimento nella morte del dissidente, il cui cadavere però non è ancora messo a disposizione né della famiglia né dei loro legali. Le autorità russe infatti hanno fatto sapere che tratterranno le spoglie del dissidente per almeno 14 giorni.

    Secondo il Servizio penitenziario russo (Fsin), Alexei Navalny è rimasto vittima di un malessere improvviso “dopo una passeggiata” nella Colonia penale di massima sicurezza n. 3, la prigione del distretto autonomo di Yamalo-Nenetsia, situato nell’Artico russo a 2.000 chilometri da Mosca, dove stava scontando una pena di 19 anni di reclusione.

    L’uomo, stando alla versione ufficiale delle autorità carcerarie, sarebbe stato soccorso immediatamente dagli operatori sanitari della struttura e poi da quelli giunti sul posto in ambulanza, arrivata appena 7 minuti dopo la segnalazione, ma non ci sarebbe stato nulla da fare. Il team legale della famiglia dubita però della ricostruzione offerta dalle autorità russe e sospetta un nuovo tentativo di avvelenamento, stavolta andato a buon fine, dopo quello del 2021.

    Navalny era stato incarcerato subito dopo il suo ritorno in Russia all’inizio del 2021, dopo un grave avvelenamento, di cui aveva accusato proprio il Cremlino.

    L’indagine comunque sarebbe ancora “in corso”, secondo quanto riferito oggi alla stampa dal portavoce del Cremlino Dmitri Peskov, anche se non ha permesso di giungere ad alcuna conclusione “per il momento”. “In queste circostanze, in assenza di informazioni, riteniamo che non sia assolutamente ammissibile fare dichiarazioni così odiose”, ha aggiunto Peskov in conferenza stampa a Mosca riferendosi alle accuse mosse contro le autorità russe da molti governi occidentali, in primis la Casa bianca, secondo cui Vladimir Putin sarebbe responsabile della morte di Navalny.

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