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    Quanti schiavi lavorano per ciascuno di noi?

    Una bambina di 13 anni dell'Ecuador che lavora in un cantiere di Quito. Credit: Afp / Matias Recart

    Slavery Footprint è il sito che ha messo a disposizione un test che calcola quanti schiavi lavorano per produrre ciò che possediamo

    Di Camilla Palladino
    Pubblicato il 9 Feb. 2018 alle 13:01 Aggiornato il 12 Set. 2019 alle 00:35

    Secondo i dati diffusi dall’Unicef, nel mondo ci sono circa 150 milioni di bambini costretti a lavorare, mettendo a rischio la propria salute, sia fisica che mentale.

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    La zona con il più alto tasso di sfruttamento minorile è sicuramente l’Africa Subsahariana, con più di un terzo dei bambini tra i cinque e i quattordici anni che svolgono lavori pericolosi.

    Migliaia di bambini africani subiscono quotidianamente violenze, sfruttamento e abusi, e la situazione è ancor più difficile per i bambini costretti a vivere e a lavorare per strada.

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    Un altro paese in cui il problema dello sfruttamento minorile è fortemente avvertito è l’India: il 10 per cento, e dunque più di dieci milioni, dei bambini di età compresa tra i cinque e quattordici anni lavora.

    Leggi anche: I bambini “di strada” che vivono tra i binari delle stazioni del Bangladesh, tra droga, criminalità e prostituzione

    Per difendere l’infanzia e i diritti di questi bambini che, nella maggior parte dei casi, sono orfani e vivono per strada, è nato Made in a Free World, il “software che trasforma i rischi della catena di approvvigionamento in benefici”, come è scritto sulla home del sito, creato nel 2014 da Justin Dillon, un musicista diventato attivista contro il lavoro forzato.

    Il sito dà la possibilità alle aziende di caricare i propri dati su tutti gli articoli che acquistano e su dove si trovano i loro fornitori, e ricevendo una lista, dei fornitori più rischiosi a livello di sfruttamento minorile.

    Lo scopo fondamentale del progetto di Dillon è quello di eliminare la schiavitù del lavoro forzato, proponendo soluzioni alternative di produttività e innovazione per migliorare la qualità e la condizione di vita dei paesi che ne soffrono maggiormente, ma soprattutto dei bambini che, spesso, non hanno alternative.

    Per sensibilizzare le persone di tutto il mondo sul tema, oltre alla creazione dell’elaborato software, Dillon ha creato anche Slavery Footprint, un “gioco” online che, dopo aver ricevuto determinate informazioni, elabora il numero di persone che lavorano in uno stato di schiavitù per produrre gli oggetti che possediamo.

    Le modalità sono molto semplici: si tratta di undici domande sui dati della persona che sta partecipando al gioco, come l’età, il sesso, la residenza, le stanze di cui è composta la casa in cui vive e i veicoli che possiede, cosa mangia, cosa indossa e che tipo di attività fisica fa.

    Dopo aver brevemente fornito le informazioni necessarie al software per sviluppare una risposta, Slavery Footprint genera il numero di schiavi che “lavorano per te”.

    Una schermata del gioco. Credit: Slavery Footprint

    A fianco delle domande, inoltre, il sito inserisce notizie e curiosità sulla schiavitù nel mondo.

    “Stiamo responsabilizzando individui, gruppi e imprese con soluzioni innovative per porre fine al sistema di schiavitù insieme”, si può leggere all’interno del sito.

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