Leggi TPI direttamente dalla nostra app: facile, veloce e senza pubblicità
Installa
Menu
  • Esteri
  • Home » Esteri

    Quando Ronaldo non voleva partire

    Anni prima del Real Madrid e della Champions League, Cristiano Ronaldo non voleva lasciare la sua Madera

    Di Anna Ditta
    Pubblicato il 27 Mag. 2014 alle 08:08 Aggiornato il 10 Set. 2019 alle 17:12

    C’è stato un momento in cui Cristiano Ronaldo ha quasi rovinato la sua carriera professionale ancora prima che cominciasse.

    È accaduto anni fa, quando Ronaldo non aveva ancora strappato il Pallone d’oro a Messi né era divenuto l’icona del Real Madrid, squadra neocampione d’Europa.

    La storia raccontata da Sam Borden per il New York Times, ha come protagonista un Cristiano Ronaldo ancora dodicenne e già un talento del pallone, ma ferocemente aggrappato alla sua isola.

    L’attaccante portoghese è nato nel 1985 a Funchal, capoluogo della regione autonoma di Madera, nel piccolo arcipelago Perola do Atlântico, perla dell’Atlantico.

    Una serie di trasferimenti hanno portato il govane Ronaldo dalla sua prima squadra, Andorinha, a un grande club come Madeira Nacional, e poi finalmente nel 1997 all’accademia dello Sporting Lisbona.

    Ma pochi mesi dopo il suo trasferimento nella capitale lusitana, Cristiano Ronaldo tornò sull’isola. Non doveva essere a casa, l’accordo con lo Sporting consentiva solo alcuni viaggi di ritorno ogni anno, ed erano solo visite brevi.

    “Ronaldo amava il calcio più di ogni altra cosa”, scrive Sam Borden, “A Lisbona, però, non aveva trovato l’oasi che si aspettava”. A Ronaldo mancava suo padre, José Dinis, che era un giardiniere, sua madre Dolores, suo fratello e le sue due sorelle.

    Gli mancava inseguire le rane nei canali secchi con suo cugino, la familiarità di vivere in un quartiere dai tetti arancioni in cui nessuno ha bisogno di conoscere i nomi delle strade perché ogni famiglia vive nella stessa casa in cui ha sempre vissuto.

    Gli mancava sentire la gente parlare come lui. A Lisbona, gli altri ragazzi dell’accademia lo provocavano prendendo in giro il suo accento di Madera.

    “Abbiamo convinto sua madre a parlare con lui,” racconta Sousa, il padrino di Ronaldo, scuotendo la testa, “Ha sempre ascoltato la sua mamma. Poi lo abbiamo messo in macchina e lo abbiamo accompagnato all’aeroporto. È stato difficile, ma è tornato”.

    Se non l’avesse fatto probabilmente non sarebbe mai arrivato al Manchester United né diventato capitano del Portogallo, un ruolo che continuerà a ricoprire questa estate durante la Coppa del mondo.

    Leggi l'articolo originale su TPI.it
    Mostra tutto
    Exit mobile version