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    Cos’è il preservativo molecolare, che potrebbe rivoluzionare la contraccezione

    Un team di ricercatori ha scoperto come controllare l’azione degli spermatozoi al momento della fecondazione utilizzando due sostanze chimiche presenti nelle piante

    Di TPI
    Pubblicato il 17 Mag. 2017 alle 19:05 Aggiornato il 12 Set. 2019 alle 01:08

    Uno nuovo studio condotto dai ricercatori della University of California a Berkeley e pubblicato il 20 aprile sulla rivista Proceedings of the National Academy of Sciences potrebbe rivoluzionare l’universo della contraccezione. 

    Gli scienziati, coordinati dalla professoressa Polina Lishko, hanno pubblicato una ricerca nella quale viene illustrata la scoperta di due sostanze chimiche presenti nelle piante in grado di controllare l’azione degli spermatozoi.

    I composti chimici analizzati dai ricercatori potrebbero essere in grado di sabotare l’ultima azione degli spermatozoi che devono perforare l’uovo per fecondarlo. Le due sostanze sono la pristimerina e il lupeolo e sono presenti in piante che gli esseri umani hanno consumato per secoli. 

    Il lupeolo si trova nell’aloe, nella frutta e nella verdura, come olive e cavoli. La pristimerina è meno comune e proviene da una vite che è nota tecnicamente come Tripterygium wilfordii, ma più spesso è chiamata “vite di tuono di dio”.

    La capacità di queste sostanze sarebbe quella di rendere inefficace la spinta propulsiva della coda degli spermatozoi che si attiva proprio nel momento in cui viene richiesta maggiore efficacia per penetrare l’ovocita.

    “Questa scoperta permetterebbe la realizzazione di un ‘contraccettivo universale’, adatto sia agli uomini che alle donne”, ha dichiarato Lishko a Wired . Il contraccettivo potrebbe essere realizzato come un cerotto da applicare sulla cute, come un anello vaginale o sotto forma di pillole.

    Il più grande ostacolo nello sviluppo di questo metodo potrebbe essere il costo di produzione. Il team sta cercando modi più economici per acquisire le sostanze chimiche necessarie che sono presenti a livelli molto bassi nelle piante.

    Le sperimentazioni sui primati sono già iniziate e i risultati sono attesi entro la fine del 2017. Se tutto va bene, le prove sugli umani dovrebbero essere completate in pochi anni.

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