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    Il premier del Montenegro Djukanovic non si ricandiderà dopo 25 anni alla guida del paese

    La notizia arriva a 10 giorni dalle elezioni, che hanno segnato la vittoria del partito di governo. I socialisti però devono formare una coalizione per governare

    Di TPI
    Pubblicato il 27 Ott. 2016 alle 08:11 Aggiornato il 10 Set. 2019 alle 16:50

    Il partito democratico dei socialisti del Montenegro (Dps) ha annunciato mercoledì 26 ottobre che il primo ministro in carica Milo Djukanovic non si ricandiderà come premier, dopo aver guidato di fatto il paese negli ultimi 25 anni.

    I membri del partito hanno provveduto a nominare Dusko Markovic, il 58enne braccio destro di Djukanovic, come candidato premier. La notizia arriva a dieci giorni dalle elezioni parlamentari nel paese, che hanno segnato la vittoria dei socialisti senza però che questi si siano assicurati la maggioranza assoluta dei seggi. 

    Questo comporta che il Dps dovrà formare una coalizione per governare. Tuttavia l’opposizione si rifiuta di trattare con Djukanovic, accusandolo di corruzione e clientelismo. Lui ha negato le accuse, sostenendo a sua volta che l’opposizione riceva finanziamenti da Mosca e che il voto sia stato influenzato da gruppi nazionalisti serbi.

    Non è ancora chiaro se gli altri partiti accetteranno Markovic come un potenziale partner per formare una coalizione. Il Dps spera di formare la maggioranza con il partito socialdemocratico (Sdcg) e altri gruppi che rappresentano minoranze.

    Djukanovic ha basato la campagna elettorale sulla scelta della partnership con l’Unione europea, fortemente sostenuta dai socialisti, e il rischio di diventare una colonia della Russia.

    Dal momento della secessione dalla Serbia, nel 2006, il Montenegro ha sviluppato forti legami con l’Unione europea e la Nato, mirando a entrare a far parte di entrambe queste istituzioni. Tuttavia, molti montenegrini non vedono di buon occhio il legame con la Nato.

    L’organizzazione ha bombardato la Serbia e Montenegro nel 1999 come parte di una strategia per fermare l’uccisione e l’espulsione dell’etnia albanese nel Kosovo, allora parte della Serbia.

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