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    Esclusivo TPI – Nagorno-Karabakh, il vescovo della Cattedrale bombardata: “Hanno ferito la nostra anima”

    Illustrazione di Emanuele Fucechi

    Il vescovo della Cattedrale di Ghazanchetsots, Padre Andreas Tavadyan, racconta in una testimonianza esclusiva a TPI cosa ha voluto dire per il Nagorno-Karabakh il bombardamento di una chiesa-simbolo, già ricostruita dopo la guerra degli anni Novanta

    Di Andrea Lanzetta
    Pubblicato il 15 Ott. 2020 alle 13:13

    Esclusivo TPI – Radio Nagorno, notizie dal fronte: “È stato davvero un duro colpo per la nostra identità, hanno ferito la nostra anima”. È il grido di dolore di Padre Andreas Tavadyan, vescovo della Cattedrale di Ghazanchetsots, sede della diocesi della Chiesa apostolica armena nella città di Shushi e uno dei più importanti monumenti religiosi dell’autoproclamata Repubblica dell’Artsakh. TPI ha raccolto in esclusiva la testimonianza del religioso armeno, rimasto in città nonostante le gravi difficoltà seguite al duplice bombardamento compiuto la scorsa settimana dalle forze azere, che ha ferito anche tre giornalisti.

    Nota come Cattedrale di Cristo san Salvatore, la chiesa, costruita nella seconda metà del XIX secolo, ha avuto una storia travagliata: consacrata per la prima volta nel 1888, fu danneggiata durante i pogrom contro la popolazione armena negli anni ’20, diventando un granaio in periodo sovietico per poi essere nuovamente colpita durante il conflitto di 30 anni fa, fino al restauro che permise di riconsacrarla nel 1998. “La notizia della ripresa della guerra è stata davvero preoccupante, perché Shushi era rimasta in pace per 27 anni”, racconta Padre Tavadyan. “È stato difficile anche per me, soprattutto quando hanno iniziato ad attaccare la popolazione civile”.

    Tra il 1989 e il 1992, il complesso religioso, considerato il secondo centro spirituale più importante del territorio conteso tra Armenia e Azerbaigian, fu trasformato in un arsenale dalle forze di Baku, che sfruttavano la collina su cui sorge come postazione di tiro. Il vicino monastero e la chiesa furono gravemente danneggiati durante gli scontri avvenuti allora in città, prima conquistata dagli azeri e poi ripresa dagli armeni. Il restauro e la riapertura della basilica avevano fatto sperare la popolazione locale ma la dura realtà degli scontri in corso, i più sanguinosi  dal 2016, sembra aver riportato indietro l’orologio della storia.

    Credit: David Ghahramanyan / NKR InfoCenter / PAN Photo

    “Quando è stata bombardata la Cattedrale di Ghazanchetsots, è stato davvero un duro colpo per la nostra identità”, ammette il vescovo armeno. “È vero che è solo un edificio in pietra, ma danneggiandolo, hanno ferito la nostra anima”. Arrivando fino a 35 metri di altezza, la Cattedrale è una delle più grandi chiese armene al mondo ed è un simbolo per la causa del Karabakh, tanto che, a poche ore dal duplice bombardamento, il leader del territorio conteso, Arayik Harutyunyan, ne ha annunciato la ricostruzione. “Servo in questa chiesa dal 2000, è come se fosse casa mia”, spiega Padre Tavadyan. “Penso che la restaureremo, basta che ci sia la pace”.

    Credit: Areg Balayan / ArmGov / PAN Photo

    La distruzione della Cattedrale ha fatto tornare il vescovo e la popolazione ai terribili giorni della guerra di 30 anni fa. “Ero in Artsakh (Nagorno Karabakh) anche negli anni Novanta: il 7, 8 e 9 maggio del 1992 però non ero presente all’assedio, all’occupazione e alla liberazione di Shushi, perché in quel momento mi trovavo a Gandzasar (un centro religioso del nord-est del territorio conteso – NdR) e il nostro leader ci esortò a restare lì e a difendere il monastero”, ricorda il religioso armeno. “Arrivai a Shushi soltanto il 10 maggio, vidi la chiesa in rovina e mi trovai davanti alle stesse immagini di oggi ma allo stesso tempo era un momento di gioia, perché la città era finalmente libera”.

    Credit: Areg Balayan / ArmGov / PAN Photo

    Oggi invece si combatte ancora in Nagorno-Karabakh, dove si temono addirittura episodi di pulizia etnica nonostante il cessate il fuoco mediato la scorsa settimana dalla Russia per scopi umanitari. In particolare, secondo le autorità locali, quasi l’80 per cento della popolazione di Shushi è stato costretto a lasciare la città a causa delle violenze, rifugiandosi nelle aree vicine o in Armenia. “Al momento la situazione è calma, non ci sono bombardamenti, ma si sentono gli scontri e gli spari dal confine”, rivela il vescovo della Cattedrale di Ghazanchetsots. “I bambini della città sono stati trasferiti in un luogo sicuro, le donne e gli adulti invece, alcuni ancora nelle proprie case, altri in scantinati e in rifugi di fortuna, stanno cercando di sopravvivere e di superare questa guerra al meglio delle loro capacità”.

    Il fuoco del conflitto continua a mietere vittime in questa regione del Caucaso, dove ieri un ospedale nella regione di Martakert è stato preso di mira dall’aviazione militare di Baku, che ha prontamente smentito l’azione, mentre gli azeri hanno denunciato un morto e nuovi sfollati nelle zone di confine con il Nagorno-Karabakh a causa della reazione armena, tutte accuse rispedite al mittente, in una guerra che ormai si combatte anche a colpi di opposta propaganda. Intanto, mentre le autorità russe indagano su un possibile bombardamento azero in terra armena, in un colloquio telefonico tenuto ieri sera, il presidente turco Recep Tayyip Erdogan ha chiesto a Vladimir Putin, una “soluzione permanente” alla crisi, che sembra ancora lontana.

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