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    Il monitoraggio dell’attività vulcanica può diventare una risorsa per l’Etiopia

    Di Stefano Mentana
    Pubblicato il 9 Nov. 2018 alle 19:55 Aggiornato il 27 Feb. 2023 alle 18:32

    Nella regione dell’Africa orientale sono presenti in tutto oltre 100 vulcani che sono stati attivi nell’arco degli ultimi 10mila anni, e un gruppo di scienziati britannici ed etiopi riuniti nell’organizzazione RifVolc è al lavoro per monitorarli e fornire beneficio da questa attività alle popolazioni locali. In questo modo sono in grado non solo per prevenire catastrofi, ma anche per sfruttareil calore vulcanico per produrre energia o a scopo termale.

    Negli ultimi 100 anni, circa il 25 per cento dei vulcani dell’Africa orientale ha registrato eruzioni. Quando questi fenomeni hanno luogo può capitare che ci siano dei segnali ad anticiparli, come avvenuto nel caso del Nabro, un vulcano al confine tra Eritrea ed Etiopia che eruttò sette anni fa. L’eruzione uccise sette persone e distrusse le abitazioni di altre 12mila, oltre a creare problemi per giorni al traffico aereo dell’area e fu osservata prima di tutto dagli scienziati internazionali dallo spazio, anche a causa dell’assenza di un sistema di monitoraggio.

    RiftVolc è un gruppo di scienziati che lavora per monitorare i vulcani meno conosciuti, anche nei luoghi più remoti, in un raggio di circa 300 chilometri coprendo circa il 15 per cento dei vulcani del’Africa orientale, con l’obiettivo di riuscire a prevenire danni causati da eruzioni.

    Tale lavoro è in grado di limitare i danni di catastrofi naturali e, oltre a questo, porta altri benefici per ragioni completamente diverse. In questo modo sono infatti stati individuati lungo diverse aree della Rift Valley etiope un gran numero di gas e fluidi vulcanici caldi, molti dei quali possono essere utilizzati come sorgenti termali per creare un’industria fatta di resort e spa, ma anche per trasformare rocce in argilla così da potervi produrre la ceramica o sfruttarle per l’energia geotermica.

     

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