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    Chi è Lina Khan, la nuova dirigente dell’Antitrust americano che fa tremare le Big Tech

    Lina Khan Credits: Instagram
    Di Veronica Di Benedetto Montaccini
    Pubblicato il 17 Giu. 2021 alle 17:54 Aggiornato il 17 Giu. 2021 alle 17:57

    Il presidente Usa Joe Biden ha nominato Lina Khan a capo della Federal Trade Commission (FTC). Secondo il Financial Times, la decisione di mettere Khan alla guida della commissione che deve giudicare sulle possibili pratiche anticoncorrenziali delle aziende è un segnale dell’intenzione dell’amministrazione di Biden di assumere una posizione più aggressiva nei confronti delle grandi aziende tecnologiche: da Amazon a Facebook alle altre.

    Chi è la nuova presidente dell’Antitrust

    Ma chi è Lina Khan? Ha 32 anni, è nata a Londra da genitori pachistani ma è negli Stati Uniti da quando aveva undici anni. Ha studiato a Yale e già da ricercatrice si fece conoscere. Perché nella rivista edita a cura dell’ateneo, pubblicò un lungo articolo-saggio intitolato: Amazon ed il paradosso dell’antitrust. Ebbe una vastissima eco e le Big Tech cominciarono a temerla. Adesso Khan insegna alla Columbia Law School ed è stata consigliera del commissario della FTC Rohit Chopra, nominata direttore della Consumer Financial Protection Bureau, l’ufficio dedicato alla protezione dei consumatori nel settore finanziario.

    Il suo pensiero contro le Big Tech

    Alla vigilia del lockdown ha pubblicato un altro studio. Dove non ha usato mezzi termini per descrivere la situazione: “Una manciata di piattaforme digitali domina il commercio e le comunicazioni online. Strutturando l’accesso ai mercati, queste aziende fungono da guardiani solo per il proprio modello di business”. La sua analisi è che negli ultimi decenni, l’anti trust americano abbia avuto come unico faro quello di garantire al pubblico, tariffe e servizi al minor costo possibile. Facendo contenti tutti: chi acquistava a meno e le imprese monopolistiche che quei servizi vendevano. Così l’occhio della FTC è stato meno vigile nei confronti dei colossi che hanno prima “vampirizzato”le piccole concorrenti e poi si sono trasformati in un mondo chiuso, impenetrabile. Che scelgono cosa vendere, come vendere, a chi vendere e a chi far vendere.

    Se le leggi avessero funzionato come previsto, insomma, quei colossi già da tempo sarebbero stati costretti a “separare” le loro attività. Non puoi essere un negozio e nello stesso tempo decidere quale fornitore può trovare posto nella tua vetrina, non puoi decidere che ospiti rivenditori e poi li “taglieggi” con commissioni salatissime. Non puoi essere un social network e, nello stesso tempo, negozio, televisione, banca, edicola. Se le leggi avessero funzionato, insomma, ci sarebbe stata una normale concorrenza. Invece, secondo Lina Khan, i legislatori ed i controllori preposti hanno via via “attenuato” e abbandonato gli obbiettivi iniziali dell’antitrust.

    Lo scorso aprile, poi, aveva detto al Senato americano di essere preoccupata per il modo in cui le società tecnologiche utilizzano il loro potere per dominare mercati nuovi, adiacenti a quelli “classici”. E lo scorso dicembre ha aperto una causa nei confronti di Facebook, accusandola di mantenere il suo monopolio sul segmento dei social network attraverso una condotta anti-competitiva.

    I commenti

    Bastano questi pochi concetti per capire perché le grandi compagnie non hanno preso bene la sua nomina. Anche se sollecitati dai giornalisti, Amazon, Facebook, Alphabet e Apple non hanno voluto rilasciare una parola di commento. Hanno fatto parlare però la Information Technology and Innovation Foundation, una delle tante sigle che raggruppano l’industria tecnologica.

    Secondo questa sorta di confindustria americana, la nomina della Kham sarebbe il sintomo di una crescente “agenda populista” di Biden. Di più, mettendo le mani avanti: se andassero avanti i progetti della nuova presidente “l’innovazione potrebbe subire un rallentamento” e alla fine chi ci rimetterebbe sarebbero i consumatori. Che non potrebbe più beneficiare “delle grandi economie di scala”. Insomma, le Big Tech tirano in ballo lo spauracchio dell’aumento dei prezzi per i consumatori. La battaglia è appena cominciata.

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