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    Le insidie del multitasking

    Passare da una pagina web all’altra ci fa lavorare peggio. E ci rende anche più insensibili

    Di Gualtiero Sanfilippo
    Pubblicato il 11 Ott. 2013 alle 10:57 Aggiornato il 12 Set. 2019 alle 09:05

    La Stanford University ha studiato l’impatto sociale del multitasking, ovvero passare con dei click nervosi da una pagina all’altra.

    Apriamo Word, diamo un’occhiata a Facebook, cinguettiamo su Twitter. Controllata la mail? Bisogna finire il lavoro per domani, però se metto una canzone di Youtube come sottofondo non succede nulla, anzi mi concentro. Ecco, questo è quello che succede a chi è affetto da multitasking cronico.

    Il professor Clifford Nass e la sua ricerca hanno dimostrato che passare continuamente da una pagina web all’altra rende peggiori studenti, lavoratori, dirigenti e certamente delle persone meno sensibili.

    Come si legge su The Week, per sapere quale impatto possa avere il multitasking cronico sulla vita degli studenti, Nass ha fatto un esperimento con 262 giovani universitari e ha chiesto loro di completare tre incarichi che hanno messo alla luce tre aspetti del multitasking: i giovani sono passati da un incarico all’altro velocemente e hanno filtrato le informazioni irrilevanti, il tutto utilizzando il “lavoro memoria”, ovvero un aspetto della memoria a breve termine che permette di contenere più pezzi di informazioni nella vostra mente.

    Il risultato è stato scoraggiante.“Le persone che soffrono di multitasking cronico mostrano una gamma enorme di deficit: fondamentalmente sono terribili nel risolvere tutti i tipi di compiti cognitivi,” ha spiegato Nass.

    Le persone stentano a capire quali informazioni sono rilevanti e quali non lo sono, e hanno problemi di memoria. C’è di più: hanno un’ intelligenza emotiva poco sviluppata, che li spinge a non prestare attenzione ai loro professori oppure ai loro superiori. Una vera e propria crisi delle interazioni sociali.

    Questi ragazzi “preferiscono ritirarsi nei comfort di un sms, piuttosto che creare un potenziale legame emotivo con una persona reale”, ha concluso Nass. Una situazione fin troppo familiare.

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