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    La donna che ha bombardato l’Isis

    È un maggiore dell'aeronautica militare degli Emirati Arabi Uniti, e per questo è stata ripudiata dalla sua famiglia

    Di Luisa Pace
    Pubblicato il 2 Ott. 2014 alle 08:00 Aggiornato il 10 Set. 2019 alle 18:44

    Maryam Al-Mansouri, maggiore donna dell’aeronautica militare degli Emirati Arabi Uniti, ha 35 anni e pilota un aereo da combattimento F16. Con l’esercito, partecipa ai bombardamenti dei terroristi dell’Isis insieme alla coalizione guidata dagli Usa.

    È proprio lei al comando dello squadrone che la settimana scorsa ha bombardato le postazioni dell’Isis nel nord della Siria. Da sempre sognava di diventare pilota ed è entrata a far parte delle forze aeree del suo Paese nel 2007, quando gli Emirati Arabi Uniti hanno deciso di ammettere le donne nel proprio esercito.

    La sua storia potrebbe non fare notizia proprio perché non è la prima donna a combattere sul campo con le forze armate: è passato il tempo in cui le donne venivano relegate al lavoro d’ufficio. Ma Maryam è araba (anche se sulla carta d’identità la sua nazionalità risulta giapponese) e la squadriglia che comanda sta bombardando terroristi islamici il cui rispetto della donna è pressoché nullo.

    Per questo, Maryam è diventata oggetto di minacce, di scherno, di insulti sui social media. Le donne in guerra vivono una doppia pena: non solo la morte, ma anche gli stupri, possibilmente collettivi, che siano militari o civili. Se catturate, sono stracci da usare e di cui abusare.

    Maryam deve anche affrontare il ripudio da parte della sua famiglia a causa del coinvolgimento degli Emirati Arabi Uniti con gli Usa nel bombardamento di obiettivi siriani. Un ripudio pubblico e dai toni molto forti quello dei familiari della donna “che partecipa alla brutale aggressione internazionale sul popolo siriano”, non perdendo l’occasione per invitare tutte le fazioni e battaglioni che operano sulla scena a unire le forze e gli sforzi perché la nazione islamica possa vincere.

    “Invitiamo i figli della nazione – si legge nell’atto di ripudio – a non caricare sulla famiglia Mansouri il peso delle azioni di Maryam Al Mansouri”.

    Le donne in guerra, quelle che decidono di partire e combattere, sono in aumento. Gli eserciti che ormai accettano le donne sono molti. Ma quale sorte attende le donne militari? I report sui problemi di molestie sono all’ordine del giorno e se ne parla sempre di più per cercare di spezzare l’omertà che spesso “unisce” le squadre.

    Meno si parla invece delle donne che combattono. Stiamo oggi vivendo un periodo di guerra, una parte del mondo usa il terrorismo come arma e l’altra risponde con le armi convenzionali. Le donne, quelle che vanno in battaglia, danno prova di estremo coraggio e sono anche pronte a “farsi esplodere”, se catturate dal nemico.

    Le combattenti curde poi, anch’esse impegnate nella guerra contro l’Isis, hanno anche un’altra arma perché per i fanatici dello Stato Islamico una combattente donna è “haram”, ossia un “anatema” che disturba solo a vedersi. Pochi giorni fa, tre combattenti curde siriane sono state decapitate dai miliziani dell’Isis.

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