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    Iran: giustiziata Zeinab Sekaanvand, la sposa-bambina curda che uccise marito

    Credit: Amnesty

    La ragazza è stata condannata a morte quando aveva 17 anni per l'omicidio dell'uomo che era stata costretta a sposare a 15 anni

    Di Futura D'Aprile
    Pubblicato il 2 Ott. 2018 alle 14:46 Aggiornato il 10 Set. 2019 alle 17:56

    Il 2 ottobre è stata giustiziata in Iran la ragazza di 24 anni di origine curda, Zeinab Sekaanvand, arrestata ancora 17enne e condannata a morte per l’omicidio di suo marito, che fu costretta a sposare quando aveva ancora 15 anni.

    A dare la notizia è stata la ong curda Hangaw Organization for Human Rights, che ha specificato che le autorità iraniane hanno eseguito altre 4 condanne a morte di cittadini di origine curda accusati di omicidio nella stessa giornata.

    La morte di Zeinab Sekaanvand è stata anche confermata da Amnesty International.

    La ragazza aveva 17 anni al momento della morte del marito, che era stata costretta a sposare quando lei ne aveva 15. Dopo essere stata arrestata, Zeinab avrebbe confessato l’omicidio, dichiarando che l’uomo l’avrebbe sottoposta da mesi ad abusi fisici e verbali e avrebbe rifiutato la sua richiesta di divorzio. Lei aveva più volte denunciato il marito, ma nessuna indagine era stata aperta a suo carico.

    La sentenza di condanna nei suoi confronti risale a ottobre 2014, ma l’esecuzione era stata rinviata quando Zeinab si è risposata con un prigioniero in carcere ed era rimasta incinta.

    Il 30 settembre la ragazza aveva partorito ma il bambino è nato morto: i medici avevano spiegato che il neonato sarebbe deceduto due giorni prima a causa di un forte shock, in concomitanza con l’esecuzione della compagna di cella di Zeinab.

    La ragazza è tornata in carcere il giorno dopo il parto e non le è stato permesso di vedere un medico per l’assistenza post-parto o un supporto psicologico.

    “Non solo Zeinab era minorenne al momento del reato, ma il suo processo era stato gravemente irregolare. Aveva avuto assistenza legale solo nelle fasi finali del procedimento, nel 2014, quando aveva ritrattato la confessione, resa a suo dire dopo che agenti di polizia l’avevano picchiata su ogni parte del corpo”, si legge nella denuncia di Amnesty.

    “Il 29 settembre la donna era stata trasferita nel reparto ospedaliero della prigione di Urmia per essere sottoposta a un test di gravidanza, risultato negativo il giorno dopo. Di conseguenza, la direzione della prigione aveva contattato la famiglia per segnalare che l’ultima visita era stata fissata per il primo ottobre. Qui, i suoi parenti avevano appreso che l’esecuzione sarebbe avvenuta il giorno dopo”.

    Amnesty ha anche sottolineato che l’Iran ì l’unico paese che prevede la condanna a morte per chi è ancora minorenne quando compie un reato.

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