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    Trump potrebbe porre fine all’atroce guerra civile in Yemen, ma preferisce non farlo

    Un ribelle Huthi nella capitale Sana'a. Credit: AFP

    Il presidente Usa potrebbe favorire un accordo di pace, ma preferisce soffiare sul fuoco con l'obiettivo di indebolire l'Iran, nonostante una delle catastrofi umanitarie più gravi della storia

    Di Luca Serafini
    Pubblicato il 2 Ott. 2018 alle 11:26 Aggiornato il 10 Set. 2019 alle 20:34

    L’Assemblea generale delle Nazioni Unite che si è tenuta la scorsa settimana a New York ha sancito la rottura tra Unione europea e Stati Uniti su una delle questioni geopolitiche più spinose degli ultimi anni: il nucleare iraniano e le sanzioni a Teheran.

    L’Alto rappresentante per la Politica estera Ue Federica Mogherini ha annunciato la creazione di un’entità legale per facilitare gli scambi commerciali con l’Iran e, di fatto, aggirare le sanzioni Usa.

    Per l’Unione europea, l’Iran ha rispettato gli accordi sul nucleare, e di conseguenza non può essere considerato dalla comunità internazionale uno “stato canaglia”.

    La linea dura dell’amministrazione Trump nei confronti di Teheran, osteggiata dall’Ue, ha però delle conseguenza che vanno ben oltre i confini iraniani, e coinvolgono la terribile guerra civile che da tre anni sta devastando lo Yemen.

    Sempre nel corso dell’Assemblea generale Onu, infatti, Trump ha accusato l’Iran di destabilizzare il Medio Oriente, con particolare riferimento all’appoggio ai guerriglieri Huthi in Yemen.

    Nello stesso discorso, il presidente Usa ha lodato l’azione di Arabia Saudita ed Emirati Arabi Uniti, che a suo parere stanno facendo quanto possibile per evitare l’escalation del conflitto yemenita.

    La guerra civile in Yemen si è inasprita nel marzo del 2015, quando i ribelli sciiti Huthi, fedeli all’ex presidente Ali Abdullah Saleh, hanno lanciato un’offensiva che ha portato alla fuga in Arabia Saudita del presidente in carica Abd Rabbuh Mansur Hadi.

    Subito dopo, la stessa Arabia Saudita è intervenuta militarmente per restaurare il governo di Hadi, formando una coalizione che comprende anche gli Emirati Arabi Uniti e che può contare sul supporto degli Stati Uniti.

    I ribelli Huthi, dal canto loro, sono appoggiati da una galassia sciita che fa capo all’Iran.

    Credit: AFP PHOTO / Mohammed HUWAIS

    Per molti osservatori internazionali, la linea anti-iraniana di Trump è tra le principali cause dell’impossibilità di trovare un accordo di pace in Yemen.

    È proprio il presidente Usa, infatti, a spingere affinché i ribelli sciiti Huthi vengano spazzati via.

    Un armistizio, con relative concessioni territoriali e/o politiche, è considerato dal tycoon un intollerabile cedimento all’Iran, una legittimazione che, nel lungo periodo, potrebbe produrre conseguenze nefaste in Medio Oriente.

    Forti del sostegno statunitense, il governo yemenita e i suoi alleati continuano quindi con iniziative militari che, secondo le Nazioni Unite e numerose Ong, stanno provocando una gravissima catastrofe umanitaria.

    Lo scorso agosto, in un report commissionato dal Consiglio dei diritti umani delle Nazioni Unite, tre esperti hanno accusato le forze governative dello Yemen, la coalizione a guida saudita che li appoggia e i ribelli del movimento Huthi di non aver fatto nulla per impedire o ridurre la morte di civili.

    I governi dello Yemen, degli Emirati Arabi Uniti e dell’Arabia Saudita si sono resi responsabili anche di crimini di guerra come stupri, torture, sparizioni forzate e “privazione del diritto alla vita”.

    L’Arabia Saudita, inoltre, è accusata da anni di condurre attacchi aerei indiscriminati.

    Il 2 agosto, almeno 55 civili sono stati uccisi e 170 sono rimasti feriti in un raid aereo condotto dalla coalizione sulla città di Hodeidah, mentre il 9 agosto un altro bombardamento sulla città di Saada ha provocato la morte di 51 persone, compresi 40 minori.

    Il 23 agosto, un altro raid compiuto nel distretto di ad-Durayhimi, a 20 chilometri dalla città portuale di Hodeidah, ha ucciso secondo l’Unicef almeno “26 bambini e le loro madri”.

    Lo scorso 19 settembre, un report di Save The Children ha evidenziato come più di 5 milioni di bambini siano a rischio carestia nel paese.

    Credit: AFP PHOTO / Essa Ahmed

    Una delle principali cause della crisi umanitaria è l’offensiva lanciata a metà a giugno dalle forze filo-governative sul porto di Hodeida, il maggiore scalo dell’ovest dello Yemen, ma anche l’unico porto rimasto in mano ai miliziani sciiti filo-iraniani huthi nonché il principale canale per l’arrivo di aiuti umanitari nel paese.

    La catastrofe umanitaria, insomma, potrebbe essere in qualche modo arginata da un accordo politico-diplomatico che però gli Stati Uniti osteggiano in chiave anti-iraniana.

    Trump preferisce forzare la mano e, secondo alcuni commentatori, continua a “illudere” il governo yemenita e gli alleati sauditi sulla possibilità di vincere la guerra in tempi brevi, rifiutandosi di negoziare un accordo di pace che rafforzi la posizione dell’Iran.

    La recente presa di posizione pro-Teheran dell’Unione europea, in questo senso, ha ulteriormente inasprito la posizione del presidente Usa.

    Russia e Cina hanno immediatamente sposato la linea dell’Ue, e al momento gli Stati Uniti si trovano isolati nella loro guerra economica e diplomatica all’Iran.

    Come ha messo in luce un articolo di The Atlantic, sono molte le azioni intraprese da Trump per rafforzare il sostegno nei confronti dell’alleanza Yemen-Arabia Saudita-Emirati Arabi Uniti.

    Sebbene lo stanziamento di aiuti economici e militari sia iniziato sotto l’amministrazione Obaman, nel marzo 2017 Trump ha annullato la decisione dello stesso Obama di sospendere la vendita di oltre 500 milioni di dollari in bombe a guida laser e altre munizioni all’esercito saudita.

    Non solo, ma verso la fine del 2017 l’amministrazione Trump ha ulteriormente intensificato il coinvolgimento degli Stati Uniti nella guerra.

    Trump mostra i fondi stanziati all’Arabia Saudita per aiuti militari con il principe ereditario Mohammed bin Salman. Credit: Mandel Ngan / AFP

    Il New York Times ha diffuso la notizia che il Pentagono aveva segretamente inviato forze speciali statunitensi al confine tra Arabia Saudita e Yemen, con lo scopo di aiutare l’esercito saudita a localizzare e distruggere i siti missilistici dei ribelli Huthi.

    La scorsa settimana una ventina di parlamentari hanno depositato una risoluzione in cui si afferma che il Congresso Usa non ha mai autorizzato un impegno militare diretto dell’esercito statunitense in Yemen.

    Malumori nei confronti della linea Trump in Yemen sono stati espressi anche da esponenti del partito Repubblicano.

    Il mese scorso, un gruppo di parlamentari bipartisan ha fatto inserire una clausola sulle previsioni di spesa per le operazioni militari in cui si richiede all’amministrazione Trump di certificare che l’Arabia Saudita e gli Emirati Arabi Uniti stiano intraprendendo “azioni chiare” per evitare di provocare vittime tra i civili in Yemen, oltre a compiere sforzi “dimostrabili” per porre fine alla guerra.

    Il Congresso ha richiesto all’amministrazione Trump di rendere questa certificazione un prerequisito affinché il Pentagono continui a fornire assistenza militare alla coalizione saudita.

    Le ultime uscite pubbliche del tycoon, che minimizzano le responsabilità saudite e puntano il dito esclusivamente sull’Iran, sembrano andare però in tutt’altra direzione.

    Come scrive The Atlantic, gli Stati Uniti probabilmente avrebbero potuto porre fine alla guerra in Yemen, ma hanno preferito soffiare sulla rivalità tra Iran e Arabia Saudita per i propri interessi geopolitici, legati all’indebolimento dell’Iran stesso in un momento in cui Teheran gode del supporto di Unione europea, Russia e Cina.

    Una posizione che, come detto, implica l’aggravarsi di una crisi umanitaria tra le peggiori al mondo.

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