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    La guerra civile in Repubblica Centrafricana sta peggiorando

    Dopo l'accordo di pace firmato a Roma a giugno tra il governo e 14 fazioni ribelli, il conflitto è ripreso, con un'epidemia di malaria e la fuga delle ong

    Di Andrea Lanzetta
    Pubblicato il 1 Set. 2017 alle 17:23 Aggiornato il 10 Set. 2019 alle 20:32

    Le vite di migliaia di persone in tutta la Repubblica Centrafricana sono a rischio perché gli operatori umanitari e organizzazioni come Medici senza frontiere sono stati costretti ad abbandonare diverse città e villaggi a causa della crescente violenza in tutto il paese.

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    La combinazione tra guerra civile e la mancanza di infrastrutture e aiuti sanitari rischiano di produrre una crisi umanitaria senza precedenti in una regione in cui patologie come la malaria sono ancora un problema irrisolto.

    Negli ultimi quattro anni, la nazione è stata afflitta dalla violenza tra milizie cristiane e musulmane che si contendono il potere nella capitale Bangui. Negli ultimi mesi però un’escalation della violenza nel paese ha portato le Nazioni Unite ad avvertire la comunità internazionale riguardo un possibile nuovo genocidio che potrebbe colpire l’Africa.

    Il Consiglio di sicurezza dell’Onu ha chiesto ai paesi membri un supporto al fragile governo del paese e un incremento degli aiuti alle centinaia di migliaia di profughi che hanno dovuto lasciare le proprie case a causa degli scontri.

    La Repubblica Centrafricana è un paese estremamente povero, con un’estensione due volte quella della Francia, ma con soli 1.300 chilometri di strade asfaltate.

    Perché e quando è iniziata la guerra civile

    La guerra civile è iniziata nel 2013, quando una coalizione ribelle composta in particolare da appartenenti alle etnie di fede musulmana, conosciuta come Seleka, depose con un colpo di stato l’allora presidente eletto François Bozizé, di fede cristiana.

    In seguito, alcune milizie di ispirazione cristiana, conosciute come anti-balaka – letteralmente “anti-machete” – cominciarono a combattere contro la coalizione Seleka. Tuttavia, gli scontri si sono calmati alla fine del 2016, quando il paese ha visto la pacifica elezione dell’attuale presidente ed ex primo ministro, Faustin Archange Touadéra.

    Ma la violenza settaria è tornata a crescere negli ultimi mesi soprattutto nelle regione centrali e sud orientali del paese africano. Oltre 300 persone sono state uccise da maggio e almeno 100mila hanno dovuto lasciare le proprie case per sfuggire agli scontri.

    La maggior parte dei combattimenti sono in corso nei pressi della città sud orientale di Bangassou, vicino al confine con la Repubblica Democratica del Congo. La Croce Rossa internazionale ha fatto sapere che, proprio in questa zona, 115 persone sono state uccise a seguito degli scontri.

    Nel giugno 2017 era stato firmato a Roma, presso la Comunità di Sant’Egidio, un accordo di pace che prevedeva un cessate il fuoco immediato tra il governo della Repubblica Centrafricana e 14 gruppi ribelli armati. Le parti si erano accordate per la fine delle ostilità in tutto il territorio dello stato africano, eppure i combattimenti non sono mai davvero finiti.

    Il rischio di epidemie e la fuga delle Ong

    Il conflitto, secondo Medici senza frontiere, sta mettendo a rischio l’intera popolazione del paese. La fuga degli operatori umanitari sta rallentando e, in alcune zone, impedendo il trattamento della malaria, proprio nella stagione della sua maggior diffusione.

    Questa situazione ha avuto un impatto particolarmente allarmante sulle donne in gravidanza. Nella città di Bakouma, alle donne incinte è stato negato un luogo sicuro per partorire, perché l’ospedale locale non riceveva forniture mediche dall’inizio di giugno.

    L’ong Medici senza frontiere ha sospeso le proprie attività a Bangassou e a Zemio, entrambe città al confine con la Repubblica Democratica del Congo. Proprio a Zemio, alcuni gruppi armati sono entrati in un ospedale che ospitava 7mila sfollati, uccidendo un bambino.

    Altre ong, come Mercy Corps, ha poi annunciato la fine delle proprie attività nei villaggi di Nièm e Yéléwa, nell’ovest del paese, dove hanno preso il potere alcune milizie ribelli locali. Proprio a Yéléwa, l’agenzia umanitaria statunitense ha riferito che almeno 130 bambini sono rimasti orfani a causa delle violenze.

    Alcune zone del paese, come Mobaye e Zangba ed altre aree del centro sud in cui ci sono alti tassi di malnutrizione, sono isolate da mesi. Né le organizzazioni umanitarie né le istituzioni internazionali riescono a raggiungere queste regioni, da cui non filtrano più informazioni sulla situazione sanitaria della popolazione.

    Nel mese di agosto 2017 poi, sei volontari della Croce Rossa sono stati uccisi in un attacco contro un ospedale a Gambo, una città nel sud est del paese africano. Questo è stato il terzo attacco ai danni degli operatori della Croce Rossa nel 2017.

    Proprio nel sud-est la situazione è particolarmente pericolosa, molti gruppi armati diversi si contendono il controllo della regione, con il risultato che da città a città e da villaggio a villaggio cambiano le autorità e i comandanti militari con cui le organizzazioni umanitarie devono avere a che fare.

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