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    Etiopia: il premier Abiy Ahmed vince le elezioni. L’opposizione: “Non è stato un voto libero”

    Credit: ANSA

    Anche il dipartimento di Stato degli Stati Uniti d'America ha definito il voto "significativamente viziato"

    Di Andrea Lanzetta
    Pubblicato il 12 Lug. 2021 alle 10:46

    Il primo ministro dell’Etiopia, Abiy Ahmed, ha vinto le elezioni federali con una maggioranza schiacciante, tra denunce di irregolarità da parte delle opposizioni e degli Stati Uniti e con la regione del Tigray ancora devastata dal conflitto e dalla carestia.

    Alle consultazioni del 21 giugno 2021, inizialmente previste per il 29 agosto 2020 ma poi rinviate a causa della pandemia di Covid-19, il Partito della Prosperità del premier Abiy ha conquistato 410 seggi su 436 alla Camera dei Rappresentanti del Popolo, assicurando al primo ministro un solido mandato per i prossimi cinque anni.

    Eppure i risultati annunciati nel fine settimana dalla commissione elettorale etiope, il National Election Board of Ethiopia (NEBE), sono stati contestati dall’opposizione, che denuncia gravi irregolarità nel voto, tra violenze, arresti e gravi episodi di repressione del dissenso. Inoltre, quasi un quinto dell’Etiopia non ha partecipato alle consultazioni per problemi logistici o a causa dei conflitti in corso.

    Le autorità etiopi hanno previsto un turno straordinario per il 6 settembre 2021 al fine di permettere il voto nelle regioni dove non si sono potute svolgere le elezioni, ma nessuna data è stata fissata per la martoriata regione del Tigray, dove dal novembre dello scorso anno il conflitto lanciato dal governo del Premio Nobel per la Pace, Abiy Ahmed, contro il Fronte popolare per la liberazione del Tigray (Tplf) ha causato migliaia di vittime civili oltre a due milioni di sfollati.

    Proprio il 22 giugno 2o21, il giorno dopo le elezioni che si sono tenute in quasi tutta Etiopia ma non in Tigray, un raid aereo condotto dalle forze di Addis Abeba ha colpito un mercato in un villaggio situato a 25 chilometri dal capoluogo tigrino Mekelle, causando la morte di decine di civili. Il massacro segue una lunga lista di violenze che le forze armate etiopi ed eritree sono accusate di aver inflitto in maniera sistematica contro la popolazione locale, dove secondo le Nazioni Unite più di 350mila persone soffrono la fame. La guerra ha infatti impedito la semina agli agricoltori, in una regione dove secondo l’Onu circa 5,5 milioni di abitanti, quasi l’80 percento della popolazione locale, sono a rischio insicurezza alimentare.

    In questo quadro su Twitter il premier Abiy Ahmed ha definito il voto “un’elezione storicamente inclusiva”, scatenando la reazione delle opposizioni che denunciano una serie di irregolarità. Berhanu Nega, eletto sindaco di Addis Abeba nel 2005 e candidato dell’Ethiopian Citizens for Social Justice, il principale movimento di opposizione etiope, ha presentato 207 denunce alla commissione elettorale (tutte respinte) dopo che alcuni funzionari e miliziani locali hanno impedito agli osservatori indipendenti di svolgere il proprio incarico in varie regioni del Paese africano.

    Persino il dipartimento di Stato degli Stati Uniti d’America ha definito le elezioni in Etiopia “significativamente viziate” a causa dell’arresto di alcune importanti figure dell’opposizione e dell’insicurezza diffusa in varie parti del Paese africano.

    Intanto la Commissione etiope per i diritti umani (EHRC), un organo dipendente dallo Stato, ha annunciato che “non ci sono state violazioni gravi o diffuse dei diritti umani” nelle stazioni di voto monitorate. Eppure, nel suo rapporto preliminare sulle elezioni, proprio l’EHRC ha denunciato una serie di “arresti impropri”, intimidazioni contro gli elettori e “molestie” nei confronti di osservatori indipendenti e giornalisti registrate in alcuni collegi elettorali.

    Lo stesso organismo ha poi sottolineato la notizia di diversi omicidi avvenuti nei giorni precedenti il ​​voto nello stato federato dell’Oromia, il più esteso e popoloso del Paese nonché regione d’origine del premier Abiy. Qui, i movimenti di opposizione hanno boicottato le consultazioni, mentre il partito di governo si è presentato da solo alle elezioni in diverse decine di collegi elettorali in tutta l’Etiopia.

    Pur riconoscendo le numerose sfide affrontate in questo momento storico dall’Etiopia, la presidente del National Election Board of Ethiopia (NEBE), Birtukan Mideksa, ha definito il voto “un’elezione credibile”. Un’affermazione non propriamente condivisa dalle opposizioni. Desalegn Chanie, risultato eletto per il National Movement of Amhara, ha denunciato il fallimento della commissione elettorale nel dimostrarsi imparziale, soprattutto nell’esaminare i reclami delle opposizioni, tutti respinti.

    In più, il neo deputato ha denunciato anche una serie di violenze. “Funzionari elettorali locali, uomini armati e quadri dell’amministrazione hanno strappato i distintivi agli osservatori elettorali e in alcuni casi li hanno persino picchiati”, ha denunciato Desalegn ad Associated Press. “Molti dei nostri osservatori sono stati picchiati e inseguiti dalle milizie del partito al governo”, ha aggiunto ai microfoni di Afp.

    Insomma, una situazione tutt’altro che distesa. A seguito delle consultazioni, il premier Abiy Ahmed, dovrebbe formare un nuovo governo a ottobre. La schiacciante maggioranza parlamentare conquistata concede al primo ministro etiope la certezza di una riconferma del mandato, che però si preannuncia da subito molto difficile.

    La guerra irrisolta nel Tigray, dove il cessate il fuoco unilaterale dichiarato dalle forze etiopi non ha trovato seguito, la crisi con Sudan ed Egitto sulla Grand Ethiopian Renaissance Dam (GERD), la mega-diga costruita dall’italiana Salini sul Nilo che mette in pericolo la gestione delle risorse idriche nella regione, la diffusa povertà, gli scontri etnici e la questione del debito internazionale, oltre alle conseguenze della pandemia di Covid-19 non delineano un futuro roseo per il Paese africano.

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