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    Ecuador, lo stato d’emergenza non basta: il Paese è ostaggio delle narco-gang

    Omicidi di poliziotti, evasioni, rivolte nelle carceri, assalti alle tv: il presidente Daniel Noboa ha imposto il coprifuoco a livello nazionale e autorizzato i militari a pattugliare le strade e a prendere il controllo delle prigioni allo scopo di "neutralizzare" le 22 maggiori bande criminali del Paese. Ma le "pandillas" hanno scatenato una violenza senza precedenti

    Di Andrea Lanzetta
    Pubblicato il 10 Gen. 2024 alle 11:45 Aggiornato il 10 Gen. 2024 alle 15:15

    Esplosioni, saccheggi, scontri a fuoco, auto date alle fiamme, rivolte nelle carceri, evasioni, omicidi e sequestri di poliziotti e persino l’assalto a un’emittente televisiva in diretta: malgrado lo stato d’emergenza proclamato dal presidente Daniel Noboa, al potere dal novembre scorso, l’Ecuador resta ostaggio delle gang, le violente “pandillas” dedite prevalentemente al narcotraffico e alleate delle più potenti organizzazioni criminali e mafiose del Centro e Sud America.

    In totale, negli ultimi tre giorni, sono rimaste uccise almeno 10 persone in tutto il Paese mentre la crisi comincia ad assumere contorni internazionali: gli Stati Uniti hanno condannato gli attacchi criminali alle autorità dell’Ecuador e si dicono pronti a fornire assistenza alle autorità di Quito mentre il vicino Perù ha già schierato polizia e militari al confine per evitare infiltrazioni mafiose nel proprio territorio.

    Nuova emergenza
    Tutto è cominciato domenica 7 gennaio quando, durante una retata nell’affollato carcere di Guayaquil, la seconda maggiore città del Paese, le autorità si sono accorte della scomparsa di Adolfo Macías detto “Fito”, boss dei Los Choneros, una delle più potenti bande locali. L’uomo, già evaso una volta nel 2013, doveva scontare 34 anni per traffico di stupefacenti e altri reati ma, secondo i media locali, continuava a portare avanti le attività del gruppo anche dal carcere.

    Al momento non è ancora chiara la dinamica dell’evasione di “Fito” ma le motivazioni sono evidenti. Di recente, il governo aveva ordinato il trasferimento di Macías e di altri detenuti di alto profilo in una struttura di massima sicurezza, il che ne avrebbe limitato le capacità di proseguire i propri affari.

    Alla fuga il presidente Noboa ha risposto il giorno successivo proclamando lo stato di emergenza, in vigore per i successivi 60 giorni, che prevede il coprifuoco notturno a livello nazionale e il pattugliamento delle strade da parte dell’esercito, a cui è affidato il controllo e il ristabilimento dell’ordine nelle carceri in rivolta.

    Questa misura infatti ha provocato una violenza senza precedenti da parte delle “pandillas”: da lunedì sono scoppiati disordini in almeno sei prigioni, otto persone sono state uccise e tre ferite in una serie di agguati condotti da alcune bande criminali a Guayaquil, due agenti di polizia sono stati uccisi nella vicina città di Nobol mentre a Riobamba sono evasi un’altra quarantina di detenuti, compreso Fabricio Colón Pico detto “el Selvaje”, leader dei Los Lobos.

    Negozi, scuole e uffici governativi sono stati chiusi e le strade di Guayaquil e della capitale Quito sono intasate dal traffico dei residenti che cercano di tornare a casa prima del coprifuoco imposto dal presidente dell’Ecuador.

    Inoltre, almeno sette poliziotti sono stati sequestrati da un’altra gang, che ha anche diffuso un video sui social costringendo tre dei rapiti a leggere una dichiarazione rivolta al presidente Noboa: “Ci hai dichiarato guerra, avrai la guerra. Avete dichiarato lo stato di emergenza. Dichiariamo che la polizia, i civili e i soldati sono il nostro bottino di guerra”.

    L’ultimo attacco però è avvenuto ieri sera, di nuovo a Guayaquil, quando alcuni uomini armati mascherati hanno fatto irruzione negli studi dell’emittente pubblica Tc durante la diretta televisiva. Prima dell’intervento della polizia, che ha portato all’arresto di 13 persone e al sequestro di armi ed esplosivi, gli aggressori, ora accusati di “terrorismo”, hanno costretto i presentatori del programma allora in onda a chiedere al presidente di non intervenire, avvisandolo delle pericolose conseguenze di “far arrabbiare le mafie”.

    Noboa ha reagito in serata dichiarando che nel Paese è in corso “un conflitto armato interno”, motivo per cui ha mobilitato le forze armate “per neutralizzare” la “criminalità organizzata transnazionale, le organizzazioni terroristiche e gli attori non statali belligeranti”. In proposito ha emanato un nuovo decreto in cui si elencano le 22 bande da contrastare: Choneros, Aguilas, AguilasKiller, AK-47, Caballeros Oscuros, ChoneKiller, Covicheros, Cuartel de las Feas, Cubanos, Fatales, Ganster, Kater Piler, Lagartos, Latin Kings, Lobos, Los p.27, Los Tiburones, Mafia 18, Mafia Trebol, Patrones, R7 e Tiguerones.

    Un problema atavico
    Non è certo la prima volta che l’Ecuador è costretto a proclamare lo stato di emergenza contro le gang, come raccontato da un reportage pubblicato a settembre da TPI. Già ad agosto scorso, dopo l’uccisione del candidato presidente ed ex giornalista d’inchiesta Fernando Villavicencio, minacciato da “Fito” e rivendicato dai Los Lobos, il governo del capo di Stato uscente, Guillermo Lasso, aveva provato a contrastare la violenza delle pandillas con l’esercito, evidentemente senza riuscire a sradicare il problema, che perseguita il Paese da anni.

    Dal 2018 le maggiori bande hanno cominciato ad allearsi con le organizzazioni di narcotrafficanti in Colombia e Messico, aumentando a dismisura il proprio giro di affari. I Choneros ad esempio, che possono contare su quasi 8mila membri, sarebbero legati al cartello messicano di Sinaloa, mentre i Los Lobos avrebbero legami con i loro rivali del cartello Jalisco Nueva Generación. Tutto questo ha scatenato anche in Ecuador una serie di violente faide, costate la vita a centinaia di persone.

    Proprio l’omicidio a fine 2020 dell’allora boss dei Choneros, Jorge Luis Zambrano Gonzalez detto Rasquiña, diede vita a un’escalation proseguita per anni con quindici autobombe esplose lungo le strade di Guayaquil nel novembre 2022 e la strage di Esmeraldas dello scorso 12 aprile, costata la vita a otto pescatori uccisi in un agguato di stampo terroristico compiuto da decine di uomini armati.

    L’argine (temporaneo) alla violenza e la promessa di Noboa di sradicare il potere delle bande criminali ha portato l’attuale presidente a vincere le elezioni del 15 ottobre scorso. Ma nonostante gli sforzi il Paese resta ostaggio delle gang.

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