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    In 104 paesi del mondo esistono leggi che limitano il diritto al lavoro delle donne

    Alcuni paesi pubblicano elenchi di posti di lavoro ritenuti troppo pericolosi per le donne, altri impediscono alle donne di lavorare in interi settori, oppure di notte o in posti di lavoro ritenuti "moralmente inappropriati"

    Di Gianluigi Spinaci
    Pubblicato il 28 Mag. 2018 alle 20:54 Aggiornato il 12 Set. 2019 alle 00:29

    Se i paesi più sviluppati del mondo stanno via via eliminando i pregiudizi di genere nel lavoro, in molti stati l’impossibilità per le donne di compiere determinati mestieri resta palese.

    Secondo quanto riportato dalla Banca Mondiale, sono 104 i paesi in cui le donne sono escluse da determinati posti di lavoro.

    “L’uguaglianza di genere nel diritto del lavoro è associata a un maggior numero di donne che lavorano e guadagnano più rispetto agli uomini”, afferma Sarah Iqbal della Banca Mondiale.

    Alcuni paesi pubblicano elenchi di posti di lavoro ritenuti troppo pericolosi per le donne, come la Russia, in cui è vietato alle persone di sesso femminile guidare un treno o una nave.

    Altri impediscono alle donne di lavorare in interi settori, oppure di notte o in posti di lavoro ritenuti “moralmente inappropriati”.

    In Kazakistan, ad esempio, le donne non possono macellare o stordire il bestiame, i maiali o i piccoli ruminanti.

    In quattro paesi le donne non possono nemmeno registrare un’azienda a proprio nome.

    Addirittura sono 18 gli stati dove un marito può impedire alla moglie di lavorare.

    La ratio dietro queste limitazioni è spesso quella di proteggere quello che viene definito come il “sesso debole”.

    Alcune leggi, infatti, pongono le donne nella stessa categoria dei bambini per quanto riguarda i lavori considerati fisicamente difficili, come l’estrazione, la costruzione e la produzione.

    A Mumbai, in India, le commesse non possono terminare il loro turno di lavoro nei negozi dopo quello dei loro colleghi uomini per questioni di sicurezza.

    Altre disposizioni hanno invece lo scopo di proteggere la capacità di generare figli.

    “Tali politiche hanno spesso motivazioni demografiche, specialmente nei paesi con un basso tasso di natalità”, afferma Iqbal.

    Le restrizioni sul lavoro notturno femminile sono nate in Inghilterra durante la rivoluzione industriale.

    Si basavano sull’idea che le donne non solo fossero più deboli e più vulnerabili allo sfruttamento rispetto agli uomini, ma mancavano anche della competenza per fare scelte valide in maniera autonoma.

    Nel 1948 l’Organizzazione internazionale del lavoro (ILO) si attivò per tenere le donne lontane dal lavoro nelle miniere e dai turni notturni nelle fabbriche.

    La Spagna non ha abolito le restrizioni sulle lavoratrici nel settore minerario, dell’elettricità e alcuni lavori di costruzione fino al 1995.

    Alcuni divieti sul lavoro femminile ancora esistenti nelle ex colonie sono stati ereditati dal Codice civile spagnolo del 1960, dal Codice napoleonico o delle leggi del Commonwealth.

    Alcune leggi, poi, hanno origini sorprendentemente recenti, come nel Vietnam, dove il divieto di guidare trattori da 50 cavalli o più per le donne è entrato in vigore nel 2013.

    Negli ultimi anni Bulgaria e Polonia stanno invece seguendo un percorso volto all’abolizione dei divieti di genere nel mondo del lavoro, rimuovendo tutte le restrizioni.

    Colombia e Congo ne hanno eliminati alcuni, mentre altri paesi hanno cambiato le leggi alla luce dei progressi tecnologici che hanno reso molti lavori più sicuri e meno dipendenti dalla forza bruta

    Alcune restrizioni specifiche per il sesso sono comunque richieste, afferma l’OIL, in particolare nel caso di donne in stato di gravidanza o di allattamento quando lavorano a contatto con prodotti chimici.

    Tali precauzioni temporanee e specifiche non sono conteggiate nello studio della Banca mondiale.

    In tutti i casi, conclude l’OIL, i divieti di protezione generale sono “sempre più obsoleti”.

    Ecco la mappa della discriminazione di genere nel mondo del lavoro elaborata sulla base dei dati forniti dalla Banca Mondiale:

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