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    Derek Chauvin, cosa sappiamo sul poliziotto che ha ucciso l’afroamericano George Floyd

    Derek Chauvin in un frame del video in cui immobilizza l'afroamericano George Floyd

    Segnalazioni per cattiva condotta e precedenti episodi di violenza nei confronti dei prigionieri: ecco la carriera lunga 19 anni dell'agente che ha soffocato George a Minneapolis

    Di Veronica Di Benedetto Montaccini
    Pubblicato il 28 Mag. 2020 alle 08:05 Aggiornato il 28 Mag. 2020 alle 18:00

    Stati Uniti, Minneapolis, 26 maggio 2020. George Floyd, uomo afroamericano, viene ucciso dalla polizia. L’agente che lo ha soffocato con un ginocchio, con una mano in tasca, è stato identificato: si chiama Derek Chauvin. Un veterano da 19 anni in servizio a Minneapolis, la più grande città del Minnesota.

    La Polizia aveva controllato George perché sembrava sotto stupefacenti. L’hanno estratto forzatamente dalla sua macchina, lo hanno immobilizzato a terra, gli hanno messo le manette e poi Chauvin gli ha messo il ginocchio sul collo. “Per favore, non riesco a respirare”, “Mamma aiuto”: George ha implorato più volte la Polizia. Impotente, quanto le persone che lo filmavano che chiedevano ai poliziotti di non soffocarlo, di lasciarlo respirare, di controllargli il polso. Fino a quando non è svenuto e morto poche ore dopo in ospedale.

    L’FBI ha licenziato subito Chauvin e gli altri tre poliziotti presenti. Tuttavia non si è parlato di ripercussioni legali. Derek Chauvin verrà rappresentato dall’avvocato Tom Kell, già legale di Jeronimo Yanez, l’agente che è stato assolto nell’omicidio di Philando Castile nel 2016. Ma cosa sappiamo finora sull’agente al centro del caso Floyd?

    Chi è Derek Chauvin: in 19 anni tante segnalazioni

    Derek Chauvin ha 44 anni ed è sposato con Kellie Chauvin, una donna Hmong nata in Laos che ha partecipato al concorso di Miss Minnesota 2018. Nella sua lunga carriera, Chauvin può contare diversi precedenti di uso della forza, denunce per violenza e almeno una causa relativa ad un’accusa di violazioni dei diritti costituzionali federali di un prigioniero.

    Nel 2006, Chauvin era uno dei sei ufficiali del Terzo distretto a sparare in una casa di Minneapolis, nell’ambito del caso Reyes. In quell’occasione non fu mai fatta chiarezza sull’uso di armi da fuoco. Lo stesso anno, Chauvin e altri sette furono nominati in una causa federale non correlata presentata da un detenuto presso il Minnesota Correctional Facility a Lino Lakes. I verbali mostrano che il caso è stato archiviato senza pregiudizio nel 2007.

    Nel 2008, Chauvin e un secondo ufficiale furono chiamati in una residenza per un incidente domestico. Secondo la polizia, Ira Latrell Toles, una ragazza di 21 anni, era stata rinchiusa in un bagno e aveva cercato di scappare quando Chauvin entrò. Quando Toles ha rifiutato di obbedire all’ordine di Chauvin di scendere, la polizia ha detto che è iniziata una lotta e Toles ha afferrato l’arma di Chauvin. Chauvin sparò due volte, colpendo Toles nell’addome. Eppure, il quotidiano Pioneer Press ha affermato che all’inizio del 2008, Chauvin ha ricevuto una medaglia al valore per “la sua risposta in un incidente che ha coinvolto un uomo armato di una pistola”.

    Nel 2011, Chauvin è stato posto in congedo temporaneo dopo aver risposto alla scena di una sparatoria. L’agente è stato anche oggetto di denunce elencate nel database dell’Ufficio di condotta della polizia della città. I dettagli di questi casi sono stati resi “non pubblici” e non hanno comunque portato a nessuna disciplina.

    Black Lives Matter

    Questa volta, per difendersi legalmente Chauvin ha scelto – non a caso – l’avvocato che è riuscito a spuntarla per l’omicidio di Philando Castile, un altro caso che nel 2016 ha provocato le proteste di Black Lives Matter e una conversazione nazionale sui diritti di razza ma che ha visto l’agente Yanez restare impunito per l’omicidio dell’uomo afroamericano.

    George è infatti solo l’ultimo degli afroamericani uccisi dalla polizia. L’ultimo di tanti che non hanno visto giustizia. Negli Stati Uniti dal 2013 al 2019, il 99 per cento delle uccisioni compiute da agenti in servizio non hanno avuto ripercussioni penali.

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