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    La crisi India-Pakistan come non si vedeva dal 1971: testa a testa tra le due potenze nucleari

    Soldato indiano al confine con il Pakistan. Credit: Rakesh Bakshi/AFP

    I rapporti tra Nuova Delhi e Islamabad sono sempre stati tesi, ma questa nuova escalation mette in pericolo la stabilità della regione. Al centro del confronto, ancora una volta, il Kashmir

    Di Futura D'Aprile
    Pubblicato il 27 Feb. 2019 alle 14:03 Aggiornato il 10 Set. 2019 alle 22:59

    La tensione al confine tra il Pakistan e l’India continua a salire, mettendo a repentaglio la sicurezza della regione.

    I rapporti tra i due paesi sono sempre stati difficili, ma era dal 1971 che non si raggiungeva una situazione così tesa, dai tempi cioè della guerra indo-pakistana che terminò con l’indipendenza del Bangladesh.

    Sia l’India che il Pakistan tra l’altro sono due potenze nucleari e solo Nuova Delhi ha aderito al Trattato di non proliferazione, motivo per cui un conflitto aperto tra i due paesi è visto con particolare preoccupazione.

    Il raid dell’India

    A dare il via all’escalation tra i due paesi confinanti è stata l’India, che nella mattina del 26 febbraio 2019 ha attaccato il Pakistan conducendo un raid aereo nella zona di Balakot, nella provincia pakistana del Khyber Pakhtunkhwa.

    Nell’attacco sono morti 350 militanti del gruppo jihadista Jaish-e-Mohammed (Esercito di Maometto): il movimento sunnita è nato in India, ma ha le sue propaggini anche in Pakistan.

    L’India, per giustificare il suo comportamento, ha affermato che si è trattato di un’azione preventiva volta a sventare un nuovo attentato sul suolo indiano.

    Il governo di Nuova Delhi ha anche accusato Islamabad di non aver preso le misure adeguate per contrastare i terroristi presenti in Pakistan, costringendo l’India ad intervenire in prima persona.

    Pochi giorni prima nella regione del Kashmir, nel nord dell’India, 42 agenti indiani sono rimasti uccisi in un attentato suicida rivendicato proprio da Jaish-e-Mohammed, scatenando così la reazione di Nuova Delhi.

    La reazione del Pakistan

    Islamabad ha condannato le azioni dell’India, definendole una “grave aggressione” e il ministro degli Esteri ha anche affermato che il governo pakistano ha diritto “ad una risposta ragionevole e all’autodifesa”.

    A queste parole, il premier indiano Morsi ha convocato il Comitato di sicurezza per decidere le mosse seguenti e prepararsi alla reazione del vicino.

    Meno di 24 ore dopo il raid dell’India, il Pakistan ha abbattuto due jet indiani che sorvolavano la regione del Kashmir e ha imposto la chiusura del suo spazio aereo. La stessa decisione è stata presa poco dopo anche dall’India.

    Il premier pakistano Imran Khan in un discorso alla nazione tenuto nelle scorse ore ha cercato di rassicurare i cittadini: “La guerra non è nell’interesse di nessuno. Prevalga il buon senso”.

    Khan ha detto di comprendere la rabbia del governo di Nuova Delhi per l’attentato nel Kashmir indiano e si è detto disposto a collaborare alle indagini: “Ancora una volta invito l’India al tavolo del negoziato”.

    “Se comincia l’escalation, dove andiamo a finire?”, ha concluso il premier, facendo riferimento all’arsenale nucleare che entrambe le potenze possiedono.

    Anche Stati Uniti e Cina hanno invitato i due paesi alla calma, chiedendo loro di evitare un confronto diretto e ulteriori attività militari per non mettere ancora più in pericolo la sicurezza della regione.

    Il Kashmir

    Il Kashmir è una regione a maggioranza musulmana rivendicata sia dall’India che dal Pakistan. Attualmente il territorio è controllato per due terzi da Nuova Delhi, in piccola parte dalla Cina, mentre il restante territorio è sotto il controllo di Islamabad.

    Il Pakistan vorrebbe riprendere possesso di tutto il Kashmir sia per motivi religiosi sia per usufruire delle sue riserve idriche.

    La mappa del Kashmir:
    Fonte: BBC

    India e Pakistan sono stati coinvolti in tre diverse guerre dal 1947 (anno dell’indipendenza dal Regno Unito) e solo un conflitto non riguardava il controllo del Kashmir.

    La contesa della regione ha origini lontane, ma si è acuita dopo il 1947 a causa dell’Indian Independence Act. Il documento prevedeva che il Kashmir fosse libero di aderire all’India o al Pakistan e il Maharaja (il sovrano locale) Hari Singh decise di portare la regione sotto il controllo di Nuova Delhi: iniziò così prima guerra tra India e Pakistan, che durò due anni.

    A seguito del conflitto indo-pakistano del 1971 venne poi stabilita la linea di controllo, nota anche come Line of Control o LOC, una linea di cessate il fuoco che i due eserciti in lotta non potevano superare.

    La LOC non è un vero e proprio confine, ma secondo il trattato firmato da India e Pakistan nessuna delle due potenze può violarla né modificarla unilateralmente.

    I territori che si trovano a sud e ad est della linea sono sotto il controllo dell’India e comprendono lo stato di Jammu e Kashmir, mentre quelli a nord ed ovest appartengono al Pakistan e sono suddivisi tra l’Azad Kashmir e i Territori del Nord.

    Molti dei residenti del Kashmir preferirebbero passare sotto il governo del Pakistan: la popolazione dello stato di Jammu e Kashmir è costituita per il 60 per cento da musulmani ed è infatti l’unico stato dell’India in cui i fedeli islamici sono in maggioranza.

    Il malcontento si è spesso espresso sotto forma di rivolte e proteste, fino ad arrivare ad attentati kamikaze e ad attacchi dell’esercito contro la popolazione ribelle.

    India e Pakistan sembravano intenzionati a risolvere la questione del Kashmir nel 2003, dopo un anno di sanguinosi conflitti lungo la LOC, ma da allora non sono mai stati fatti importanti passi avanti.

    Ogni speranza di chiudere in breve tempo la questione è definitivamente tramontata nel 2015, quando l’India ha accusato un gruppo islamico con base in Pakistan di aver condotto un attacco contro la base area di Pathankot, nello stato indiano del Punjab.

    Nel 2017 Morsi aveva poi cancellato un incontro già programmato in Pakistan e da quel momento non ci sono stati progressi nei colloqui di pace tra i due paesi.

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