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    Cosa succede al nostro cervello quando controlliamo lo smartphone di continuo

    Una professoressa del Massachusetts Institute of Technology ritiene che controllare costantemente i nostri telefoni cambi il modo in cui funziona la nostra mente

    Di TPI
    Pubblicato il 23 Mar. 2016 alle 17:27 Aggiornato il 12 Set. 2019 alle 03:08

    La professoressa del Massachusetts Institute of Technology Sherry Turkle si occupa da anni del rapporto tra cervello, identità e nuove tecnologie, e ha recentemente pubblicato il libro Reclaiming Conversation: The Power of Talk in a Digital Age, ovvero “Reclamare la conversazione: il potere del dialogo nell’era digitale”.

    Secondo la studiosa, viviamo in un universo tecnologico nel quale siamo sempre in comunicazione con qualcuno, come se avessimo il terrore della solitudine, eppure abbiamo sacrificato la conversazione faccia a faccia per accontentarci dei nostri smartphone.

    Al lavoro, a casa, in politica e in amore troviamo modi per aggirare la conversazione, tentati dalla possibilità di un testo o di una mail che non ci costringa a guardare, ascoltare, o a rivelare noi stessi.

    Allo stesso tempo, invece, manteniamo un contatto costante con i nostri telefoni, che ci illudono di tenerci in contatto col mondo e finiscono per creare uno stato mentale alterato, iperreattivo, per cui siamo continuamente alla ricerca di nuovi stimoli.

    Questa, secondo l’autrice, non è una condizione a cui dovremmo aspirare, soprattutto perché come membri della società contemporanea dovremmo piuttosto avere la necessaria serenità mentale per riflettere e prendere decisioni senza distrazioni costanti.

    Turkle ha espresso la sua visione della situazione in un breve video pubblicato dal sito Business Insider, in cui ha fatto le seguenti osservazioni:

    “Quando stiamo usando il nostro smartphone, cambiano diverse cose nel nostro cervello e nelle nostre abitudini. Diventiamo intolleranti rispetto all’idea di restare un momento da soli. Il nostro cervello ha bisogno di uno stimolo costante, e questo è probabilmente il cambiamento più pericoloso, perché siamo sempre ipervigili, in allerta costante.

    Questo genere di atteggiamento potrebbe forse essere utile nella natura selvaggia, ma noi non viviamo nella natura selvaggia, e non è utile per la vita che viviamo, in cui abbiamo necessità di essere rilassati per prendere decisioni importanti. Se siamo sempre così in tensione, questo ci rende più depressi, più iperreattivi, incapaci di riflettere sulle cose e sui noi stessi.

    Di fatto, ogni volta che facciamo una ricerca su Google, è come se stessimo uscendo per una battuta di caccia nella giungla: ci mette in quello stato mentale, che non è adatto per il genere di riflessioni e di conversazioni che facciamo quotidianamente, sia nelle nostre relazioni che nelle decisioni che dobbiamo affrontare”.

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