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    La Corte Onu ordina alla Birmania di prendere tutte le misure necessarie per proteggere i Rohingya dal genocidio

    La sentenza è arrivata nella tarda mattinata di giovedì 23 gennaio: sconfessata la linea della leader birmana Aung San Suu Kyi, che aveva preso le difese dell'esercito

    Di Niccolò Di Francesco
    Pubblicato il 23 Gen. 2020 alle 12:23

    La Corte Onu ordina alla Birmania di proteggere i Rohingya dal genocidio

    La Corte internazionale di giustizia dell’Onu ha ordinato alla Birmania di proteggere i Rohingya dal genocidio perpetrato nei loro confronti dall’esercito birmano.

    La sentenza, molto attesa, è arrivata nella tarda mattinata di giovedì 23 gennaio.

    La Corte, dunque, ha ordinato alla Birmania di adottare “tutte le misure in suo potere” per prevenire il presunto genocidio contro la popolazione musulmana dei Rohingya. Il tribunale, poi, ha chiesto al governo birmano di attuare una serie di misure di emergenza previste dalla Convenzione sul genocidio del 1948.

    Secondo la Corte, vi sono delle prove che circa 600mila Rohingya rimasti in Birmania (o Myanmar che dir si voglia) sono “estremamente vulnerabili” alla violenza da parte dell’esercito birmano.

    La sentenza, dunque, ha sconfessato la difesa di Aung San Suu Kyi (qui il suo profilo), figura di spicco della politica birmana nonché premio Nobel per la pace nel 1991 e attuale ministro degli Esteri, la quale lo scorso 11 dicembre aveva affermato davanti la Corte dell’Onu che “Non si può escludere che i militari abbiano usato una forza sproporzionata. Ma genocidio non è unica ipotesi”.

    Il caso è stato presentato all’Onu dal Gambia, uno stato dell’Africa occidentale prevalentemente musulmano, che ha accusato la Birmania di aver violato la convenzione sul genocidio, emanata dopo l’Olocausto.

    Il procuratore generale del Gambia e il ministro della giustizia, Abubacarr Marie Tambadou, hanno dichiarato alla Corte a dicembre: “Un altro genocidio si sta svolgendo proprio davanti ai nostri occhi, ma non facciamo nulla per fermarlo. Questa è una macchia sulla nostra coscienza collettiva. Non è solo lo stato della Birmania che è sotto processo qui, è la nostra umanità collettiva che è sotto processo”.

    Secondo l’accusa, oltre 700mila Rohingya sono stati costretti a fuggire nel Bangladesh, mentre circa 10mila sono stati massacrati dall’esercito birmano.

    Chi sono i Rohingya e perché sono perseguitati

    I Rohingya sono una minoranza musulmana che conta circa 1 milione di fedeli. Vivono principalmente nella parte settentrionale della Birmania, nello stato di Rakhine. Tuttavia, il governo birmano non ha mai incluso i Rohingya nei gruppi etnici ufficiali del paese. Per le autorità birmane, infatti, i Rohingya sono immigrati provenienti dal Bangladesh, che vivono illegalmente in Birmania.

    La persecuzione dei Rohingya, definita da un rapporto della Nazioni Unite come una delle minoranze più perseguitate nel mondo, ha inizio nel 1970 quando 250mila Rohingya furono costretti ad abbandonare le proprie case per rifugiarsi in Bangladesh.

    Le repressioni si sono intensificate di recente quando, tra il 2012 e successivamente il 2017, in migliaia sono rimasti uccisi mentre tentavano di attraversare il fiume che fa da confine naturale tra Birmania e Bangladesh.

    La Birmania, tuttavia, ha sempre negato la persecuzione, affermando, come ha fatto Aung San Suu Kyi di recente, che le violenze siano di “carattere interno” e relative al processo di democratizzazione ancora in atto nel Paese e non persecutorie nei confronti di una minoranza etnica.

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