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    Lo studio scientifico che aveva previsto il coronavirus un anno fa: “Partirà dalla Cina, dobbiamo prevenirlo”

    Di Antonella Sinopoli
    Pubblicato il 24 Feb. 2020 alle 20:28 Aggiornato il 25 Feb. 2020 alle 15:36

    Coronavirus, lo studio scientifico che aveva previsto l’epidemia un anno fa

    Che ci fosse un’”alta probabilità di diffusione di focolai di coronavirus, a partire dalla Cina” si sapeva già un anno fa. A scriverlo erano tre scienziati cinesi che avevano pubblicato il frutto delle loro ricerche su una rivista online specializzata. Il metodo di analisi è semplice e parte dallo studio – che prende un arco temporale di circa due decenni – delle precedenti sindromi, prima fra tutte la SARS. Tutte causate e diffuse dal pipistrello, in grado di veicolare poi il virus su altri animali e da questi all’uomo.

    “Tutti i focolai – si legge nello studio – sono iniziati in Cina e sono stati causati dal pipistrello. Ciò ha aumentato l’urgenza di studiare i coronavirus dei pipistrelli in questo Paese per comprendere il loro potenziale di provocare un altro focolaio di virus”. E ancora: “Ѐ molto probabile che i futuri focolai di coronavirus simili alla SARS o al MERS provengano da pipistrelli e vi è una maggiore probabilità che ciò accada in Cina. Pertanto, l’indagine sui coronavirus di pipistrello diventa una questione urgente per il rilevamento di segnali di allarme precoce”.

    Il paper data 29 gennaio 2019 e la sua pubblicazione 2 marzo 2019. Riviste scientifiche, come la Viruses che ha pubblicato lo studio, hanno di solito una procedura abbastanza rigorosa e si affidano a comitati scientifici che analizzano il lavoro presentato dagli accademici prima di accettarne la pubblicazione.

    Il lavoro, dunque, dal titolo “Bat Coronaviruses in China”, aveva messo in guardia sull’alto rischio di una diffusione del virus, presentando anche mappature sulla distribuzione geografica delle colonie di pipistrelli e la loro vicinanza alle attività umane. Un lavoro accessibile a tutti, visto che è pubblicato in open access ed è possibile diffonderlo e scaricarlo secondo le licenze creative commons.

    Come mai non è stato ampiamente diffuso? E come mai l’allarme non è stato preso in considerazione? E poi, come mai questi tipi di virus partono dalla Cina? Se lo studio non può certo rispondere alle prime due domande, offre una risposta “sociale” all’ultimo quesito, quesito che gli stessi ricercatori pongono in modo specifico nella ricerca. Una risposta che in realtà rappresenta una conferma e che ha a che fare con le abitudini alimentari della popolazione cinese. Pipistrelli portatori del virus vivono vicino all’uomo e trasmettono il virus ad altri mammiferi. La cultura alimentare in Cina sostiene che gli animali macellati da vivi siano più nutrienti, ricordano i ricercatori che hanno firmato il paper. E così, nei grandi mercati del Paese, macellazione (in luoghi dove non si rispettano norme igieniche) e consumo di ogni tipo di animali sono la miscela esplosiva che prima o poi porta alla diffusione incontrollata di epidemie. Quello di Wuhan nella provincia di Hubei, epicentro del contagio, è appunto uno di questi.

    “Si ritiene generalmente che i CoV trasmessi da pipistrelli riemergeranno per causare il prossimo scoppio della malattia – si legge ancora nello studio in questione -. A questo proposito, la Cina è un probabile hotspot. La sfida è prevedere quando e dove, in modo che possiamo fare del nostro meglio per prevenire tali focolai”.

    Questa prevenzione, però, non c’è stata. Avrebbe richiesto il controllo dei mercati locali, ma soprattutto di ribaltare totalmente il regime e la cultura alimentare della popolazione cinese. Quale Governo lo farebbe? Negli anni si sono intensificate le denunce e le prove di un uso sfrenato di ogni tipo di animali: cuccioli di lupo, cani, gatti, lontre, roditori, ma anche tartarughe, salamandre giganti e soprattutto il pangolino, piccolo mammifero ormai da anni ai vertici delle liste degli esemplari in via di estinzione.

    Intanto la Cina sta cominciando a importare polli vivi dagli Stati Uniti. L’abbattimento di questi volatili nelle industrie cinesi sta procedendo a ritmi vertiginosi, fanno sapere corrispondenti locali, viste le restrizioni sulla macellazione in corso al momento. Restrizioni sono in atto anche sulle importazioni e ci sono aziende che si dicono preoccupate degli effetti dell’epidemia sulle scorte di cibo.

    Di fatto, dunque, la Cina ha ritirato il divieto che era stato imposto nel 2015, quando aveva vietato, appunto, tutti gli scambi di prodotti a base di pollame a causa dei focolai di influenza aviaria negli USA. Un divieto già alleggerito lo scorso anno quando la peste suina in Africa aveva ridotto le scorte di maiale, una delle basi della dieta cinese. E così ci si era dovuti rivolgere ad altri mercati. Insomma, al netto dei rilievi degli scienziati e delle abitudini alimentari, il pericolo passerebbe solo indirettamente attraverso i pipistrelli. Il vero diffusore sarebbe il cibo, il modo in cui si consuma, il modo in cui si macellano gli animali.

    Video-reportage dalla zona rossa del Coronavirus: l’incubo degli abitanti con la vita sospesa (di Selvaggia Lucarelli)

     

     

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