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    Brick Lane, Londra, Italia

    Ecco perché Brick Lane appare oggi sempre più come una Little Italy nel cuore della Bangla Town

    Di Alberto Mucci
    Pubblicato il 20 Mar. 2014 alle 06:04 Aggiornato il 11 Set. 2019 alle 00:46

    Brick Lane, primo est della città. Il quartiere si apre subito dopo lo square mile, il miglio quadrato centro della finanza europea. Ristoranti, centinaia di persone, il mercato, i negozi, il rumore.

    Prima della metà degli anni Novanta era diverso. Molto. Quella che oggi è la City quasi non esisteva e Brick Lane era un quartiere a sè, per i più off-limits: il regno della comunità bangla in Inghilterra dove in pochi si addentravano. Poi le cose sono cambiate.

    È cominciato un tortuoso processo di gentrificazione. Sono arrivati prima gli artisti in cerca di affitti minimi non troppo lontani dal centro, poi tutti quelli attratti dall’idea di essere artisti. E a catena gli altri. Ma non tutto però è andato secondo il classico copione della gentrificazione.

    Non è stata soltanto la storia di un quartiere popolare preso d’assalto dai figli della classe media come nella Pigneto di Francesco Pacifico. O meglio: è andata così, ma la scala invece che nazionale è stata internazionale.

    Sono stati i figli della classe media italiana (assieme a quella francese e spagnola) che in un generale fuggi fuggi dalle difficoltà economiche del vecchio continente hanno rapidamente occupato Brick Lane e cambiato il quartiere in quella che appare oggi sempre più come una Little Italy nel cuore della Bangla Town.

    Nel quartiere, d’inglesi residenti (quasi) non ce ne sono. Passeggiando per la main street ciottolata gli italiani invece sono su ogni angolo: davanti ai supermercatini, fuori dai bar, dentro ai negozietti di fritto. Famiglie, anziani, gente del nord, del sud, di grosse città e di paesini conversano e ridono sicuri come fossero sulla piazzetta di casa loro. E non c’è da stupirsi di questa presenza.

    Secondo i dati del Consolato Generale d’Italia a Londra gli italiani iscritti nell’anagrafe consolare nel 2013 sono 205mila (numero che tiene conto anche dell’inclusione del consolato di Bedford nella circoscrizione di Londra) quando nel 2006 erano soltanto 105 mila. Un incremento con un ritmo medio di 250 connazionali al mese nel 2007, 500 nel 2008, 830 nel 2009, 580 nel 2010, 500 nel 2011 e 1200 nel 2012. Ma c’è di più.

    I dati tengono conto soltanto delle persone effettivamente iscritte all’associazione degli italiani residenti all’estero (Aire), un iter che molti evitano per paura di incorrere in un processo lungo e burocratico.

    Così, sempre secondo i dati del Consolato, gli italiani che vivono a Londra senza essere iscritti all’Aire sono circa 193mila, numero che sommato ai 205mila residenti ufficiali rende Londra e i suoi 390 mila abitanti italiani la settima città italiana: secondo i dati Istat del 2012 appena sotto Genova e subito sopra Bologna.

    C’è un’altra importante peculiarità da evidenziare in questa nuova Little Italy che va formandosi a Brick Lane. Nel quartiere vanno mischiandosi due tipi di emigrazione. La prima, di élite, è di natura transitoria: nel quartiere i giovani arrivano, si fermano qualche anno e poi ripartono.

    La seconda invece è figlia delle necessità economiche degli ultimi anni e si distingue per la voglia di permanenza. È la migrazione di chi apre un negozio, un bar o un ristorante e nel quartiere vuole sentirsi a casa sua.

    E tra gli italiani di questo primo est londinese c’è chi scommette che la prossima sfida tra la Bangla Town locale e la crescente Little Italy si giocherà non a caso sui ristoranti. A Brick c’è infatti una ferrea regola non scritta.

    A metà della main street ciottolata c’è un ponticello coperto che connette il vecchio birrificio Truman a un ex magazzino ora diventato un locale in voga (il 1001).

    Il lato a sud è fermamente in mano alla comunità bangla ed è occupato dai suoi ristoranti, negozi, baretti. Il lato nord invece è in mano ai gentrificatori, ai loro caffè organici, ai bar libreria e ai negozi di vinili.

    Per il momento è lì che sono i ristoranti italiani. Lo scorso mese il primo bar italiano (Love in a Cup) ha superato il confine. Fuori sopra la porta un tricolore a segnare la provenienza. Il primo passo di una nuova Little Italy.

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