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    Stati Uniti, perché i bambini migranti vengono separati dalle famiglie al confine

    AFP PHOTO / US CUSTOMS AND BORDER PROTECTION/HANDOUT

    Quasi duemila minori sono stati separati dai genitori al confine a causa delle politiche migratorie del presidente Donald Trump

    Di Anna Ditta
    Pubblicato il 19 Giu. 2018 alle 17:13 Aggiornato il 12 Set. 2019 alle 00:02

    Bambini migranti separati famiglie | Stati Uniti | Usa

    Tra il 19 aprile e il 31 maggio 2018 quasi duemila bambini sono stati separati dalle loro famiglie dopo che queste hanno varcato il confine statunitense illegalmente, secondo quanto riportato dal Dipartimento della Sicurezza Interna degli Stati Uniti.

    I gruppi di attivisti che proteggono i migranti sostengono che il numero sia ancora più alto e che le prime separazioni siano da far risalire a luglio 2017. I bambini più piccoli hanno 18 mesi.

    Le separazioni sono una diretta conseguenza della politica di “tolleranza zero” nei confronti dei migranti irregolari voluta dal presidente Donald Trump.

    Con la nuova politica dell’amministrazione Trump, ogni migrante che attraversa il confine in modo illegale, anche coloro che hanno intenzione di chiedere asilo negli Stati Uniti, deve essere sottoposto a procedimento penale.

    Questa politica è stata criticata dalla moglie del presidente degli Stati Uniti, Melania Trump (qui cosa ha detto).

    Nel 2014, con il boom dei migranti provenienti dall’America centrale, l’amministrazione Obama aveva disposto la detenzione delle famiglie, e questo aveva suscitato forti critiche.

    La Corte federale nel 2015 ha disposto il divieto per il governo di detenere le famiglie per mesi senza spiegazioni.

    Le famiglie venivano quindi rilasciate in attesa che la loro situazione fosse definita dai tribunali. Non tutti, però, poi si presentavano alle udienze. Per questo Trump ha definito questo sistema “cattura e rilascia”.

    Cosa succede ai bambini dopo essere stati separati dalle famiglie?

    Dopo essere stati separati dai genitori, i bambini vengono affidati entro 72 ore dalle guardie di frontiera all’ORR.

    Da quel momento vengono considerati come “minori stranieri non accompagnati”, una categoria che in genere si riferisce ai minori che arrivano al confine statunitense da soli.

    I bambini vengono ospitati in strutture gestite dal governo e trascorrono settimane o mesi mentre i funzionari cercano parenti o sponsor che siano pronti a prendersene cura mentre la loro richiesta di asilo è pendente dinanzi al tribunale.

    Come mostra un video del Guardian, in queste strutture centinaia di bambini aspettano di conoscere il loro destino in gabbie con il pavimento di cemento, lontani dalle loro famiglie.

    I bambini possono avere libri o giocattoli, ma Colleen Kraft, presidente dell’American Academy of Pediatrics, sostiene che siano angosciati e che separare i minori dalle famiglie “va contro tutto ciò per cui lottiamo come pediatri”.

    Che possibilità ci sono che i bambini si riuniscano alle famiglie?

    Non esiste un sistema chiaro per riunire le famiglie, come hanno denunciato gruppi di attivisti e di avvocati che si occupano di migranti.

    I difensori dei bambini, a loro volta, hanno riscontrato delle difficoltà ad argomentare le richieste di asilo perché sono proprio i genitori ad avere le informazioni sul motivo per cui la famiglia stia fuggendo dal suo paese d’origine.

    Inoltre, se i genitori vengono rimpatriati, non esiste un modo per assicurarsi che i figli vengano nuovamente affidati loro.

    I singhiozzi dei bambini

    Nelle ultime ore è stato diffuso un audio in cui si sente il pianto disperato di 10 bambini provenienti dall’America centrale e separati dai loro genitori dalle autorità che sorvegliano il confine con gli Stati Uniti.

    Molti di loro sembrano piangere così forte che riescono a malapena a respirare. Gridano “Mami” e “Papá” ancora e ancora, come se fossero le uniche parole che conoscono.

    A un certo punto si sente un funzionario scherzare con uno dei bambinii n lacrime: “Abbiamo un’orchestra qui”.

    Poi una bambina salvadoregna di 6 anni, sconvolta ma decisa, chiede ripetutamente a qualcuno di chiamare sua zia. Solo una chiamata, implora chiunque ascolti. Dice che ha memorizzato il numero di telefono.

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