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    Aung San Suu Kyi condannata a quattro anni di carcere

    Aung San Suu Kyi durante la campagna elettorale per le elezioni parlamentari, il 13 novembre 2015. Credit: U Aung/Xinhua via ZUMA Wire

    La vincitrice del premio Nobel per la pace, arrestata a febbraio a seguito di un colpo di stato, è stata condannata per le accuse di sedizione e violazione delle norme anti Covid

    Di Giulio Alibrandi
    Pubblicato il 6 Dic. 2021 alle 10:18 Aggiornato il 6 Dic. 2021 alle 10:31

    Aung San Suu Kyi condannata a quattro anni di carcere

    L’ex leader del Myanmar Aung San Suu Kyi, arrestata a febbraio a seguito di un colpo di stato, è stata condannata a 4 anni di carcere per le accuse di sedizione e violazione delle norme anti Covid. Lo ha annunciato un portavoce della giunta militare, affermando che la presidente della Lega nazionale per la democrazia (Nld), partito che ha vinto le ultime elezioni “è stata condannata a due anni di reclusione ai sensi della sezione 505(b) e a due anni di reclusione ai sensi della legge sui disastri naturali”. La condanna per sedizione farebbe invece riferimento a una dichiarazione, pubblicata online dopo il colpo di stato, in cui aveva chiesto alle organizzazioni internazionali di non cooperare con la giunta. Oltre alla vincitrice del premio Nobel per la pace, è stato condannato a quattro anni con le stesse accuse anche l’ex presidente Win Myint.

    Il portavoce Zaw Min Tun ha precisato che i due ex leader per il momento non saranno trasferiti in prigione. “Affronteranno altre accuse dai luoghi in cui si trovano ora” nella capitale Naypyidaw, ha aggiunto senza fornire ulteriori dettagli.

    “False accuse”, le ha definite Amnesty International in un comunicato, in cui ha affermato che le “dure condanne” sono “l’ultimo esempio della volontà dei militari di eliminare ogni opposizione e soffocare le libertà in Myanmar”.

    Figlia del generale che ha fondato l’esercito nazionale e protagonista della lotta per la democrazia nel Myanmar, Aung San Suu Kyi era già stata arrestata durante la campagna per le prime elezioni libere del paese, vinte dal suo partito nel 1990, trascorrendo 15 dei successivi 21 anni agli arresti.

    Il suo rilascio nel 2010 ha coinciso con un periodo di apertura che ha portato alla fine di 49 anni di governo militare. Negli anni successivi, Aung San Suu Kyi ha occupato un ruolo di primo piano nella politica del paese come ministro degli Esteri e consigliere di Stato, una posizione creata ad hoc simile a quella di primo ministro.

    Tuttavia, la gestione della crisi dei rifugiati della minoranza musulmana rohingya, che ha spinto più di un milione di persone a fuggire in Bangladesh, ha esposto lei e il suo governo a dure critiche, spingendo diverse organizzazioni umanitarie a revocare riconoscimenti che le erano stati conferiti negli anni della detenzione.

    Dopo il suo ultimo arresto dieci mesi fa, la 76enne è stata accusata di numerosi reati che vanno dal possesso non autorizzato di walkie-talkie alla violazione di leggi sui segreti ufficiali, che potrebbero costarle decenni di carcere. Dai suoi processi è stata bandita tutta la stampa e recentemente è stato impedito ai suoi avvocati di parlare con i giornalisti.

    Il 1° febbraio l’esercito del Myanmar ha deposto il governo della Nld dopo mesi di polemiche seguite alla vittoria nelle elezioni parlamentari dello scorso novembre, in cui il partito aveva conquistato l’84 percento dei seggi, nonostante la commissione elettorale avesse respinto le accuse di brogli e irregolarità. Secondo il gruppo Assistance Association for Political Prisoners con sede in Thailandia, almeno 1.303 persone sono state finora uccise dai militari e oltre 10.600 arrestate.

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