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    Da Kabul all’Italia, l’attivista Rahel Saya a TPI: “Sono salva, non riesco a crederci”

    Rahel Saya

    L'attivista Rahel Saya è scappata da Kabul ed è al sicuro in Italia. Aveva criticato i talebani su media nazionali ed internazionali, ora è salva anche grazie a TPI

    Di Elisa Serafini
    Pubblicato il 27 Ago. 2021 alle 19:01

    “Sono entrata in aeroporto. Ce l’ho fatta”. Con queste parole Rahel Saya, l’attivista intervistata nel 2020 da TPI, mi ha scritto alle 5 del mattino di mercoledì. Dopo 16 lunghissime ore di fronte ai controlli dei talebani, dopo aver sentito spari e poco prima che esplodessero le bombe dell’Isis-K, Rahel è riuscita a compiere il primo passo per la sua fuga, l’unica opzione possibile per evitare una morte certa. Rahel aveva criticato i talebani su media nazionali ed internazionali, studentessa poco più che ventenne, collaboratrice di Voice of America e Andisha Tv, Rahel Saya è una promessa del giornalismo. “Il mio sogno è continuare la carriera nel giornalismo e diventare una presentatrice tv” mi racconta.

    La fuga dall’Afghanistan per persone come Rahel è una lotteria contro il tempo e una sfida alla burocrazia e alla complessità. Prepariamo insieme il visto per l’India, appena l’India annuncia i visti di emergenza per gli afghani, ma è un buco nell’acqua. Scrivo a suo nome all’ambasciata francese, spagnola, albanese, tedesca. Ma non arrivano risposte. Rahel però ha collaborato con l’Italia, è stata fonte per TPI e per questa ragione ha diritto all’asilo.

    L’Ambasciata italiana a Kabul è difficilissima da raggiungere, manca il personale, troppe richieste. Chi come Rahela ha diritto all’ingresso in Italia può contare su una rete di contatti e spesso ha più fortuna di altri. Non esiste al momento un form online per richiedere il visto, gli afghani collaboratori del Paese scrivono ad amici, politici, rappresentanti diplomatici. Si incrociano sulle chat di Whatsapp le localizzazioni del “gate”, i numeri dei taxi di fiducia, i messaggi di incoraggiamento: resisti.

    Dall’altra parte, in Italia, giornalisti, attivisti, professori, cittadini, in contatto con afghani richiedenti asilo, preparano i documenti. Ho raccolto e catalogato oltre venti richieste per un totale di circa cinquanta persone. Passaporti, documenti, biografie, richieste di aiuto: tutte persone fortemente a rischio di ritorsione politica. Chi ha collaborato con l’Italia ha avuto un canale prioritario, ma alcune di queste persone sono ancora oggi a Kabul, bloccate dall’impossibilità di accesso all’aeroporto.

    “Hanno verificato i nostri passaporti e ci hanno fatti salire sul primo aereo disponibile. Siamo arrivati in Tajikistan, poi in Germania e poi a Roma. Ci hanno fatto diversi Covid-test”, racconta la giovane attivista e giornalista. Rahel è preoccupata per la famiglia “spero di poterli sentire, di avere internet, di poter dire loro che sto bene anche quando sarò in Italia”. La rassicuro, dopotutto è stato il tormentone di molti politici quello delle “sim gratis agli immigrati”, perché chi lotta contro l’umanità non considera nemmeno il conforto che può dare una telefonata alla propria famiglia.

    “Adesso ci trasferiscono in un hotel, poi arriverò da te” mi dice. Rahel verrà alloggiata in un comune della provincia di Genova che sta preparando un alloggio per lei e le sue due sorelle. 50 metri quadri, con un piccolo giardino sul mare: un conforto psicologico e fisico per chi ha vissuto gli orrori dell’estremismo islamico.

    Tanta la stanchezza: Rahel non ha dormito per giorni, ha attraversato un continente, e non aveva mai preso un aereo prima d’ora. “Non vedo l’ora di ricominciare in Italia, imparerò meglio l’inglese e anche l’italiano. Voglio vivere qui, con le mie sorelle. Grazie”. Non ha altre parole, ma forse, nemmeno servono.

    Leggi anche: “La pace in Afghanistan? Oggi è peggio di prima e per le donne è ancora un inferno”: parla l’attivista Rahel Saya

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