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    Arabia Saudita, per la prima volta un’attivista donna rischia la pena di morte

    Donne sciite durante una protesta l'8 gennaio 2016 nella città orientale di Qatif. Credit: AFP

    Israa al-Ghomgham si è battuta per i diritti umani della minoranza sciita. Ora un procuratore saudita ha chiesto la pena capitale per lei e per altri quattro attivisti

    Di Anna Ditta
    Pubblicato il 22 Ago. 2018 alle 17:58 Aggiornato il 10 Set. 2019 alle 20:24

    L’attivista donna saudita Israa al-Ghomgham rischia la pena di morte – insieme a quattro uomini – per le sue battaglie in favore dei diritti umani, secondo quanto denunciato dall’ong Human rights watch (HRW). Si tratta della prima donna saudita a rischiare la pena capitale per questioni legate alla battaglia per i diritti.

    Israa al-Ghomgham è sotto processo dinanzi a un tribunale speciale per il terrorismo, con accuse che includono “incitamento alla protesta”, “sostegno morale ai rivoltosi”, “ripresa e pubblicazione di filmati delle proteste sui social media” e “partecipazione alle proteste” nella regione di Qatif, dove si sono svolte delle manifestazioni da parte della minoranza sciita del paese.

    HRW ha avvertito che ha questo potrebbe diventare “un pericoloso precedente per le altre donne attiviste attualmente in carcere” nel regno saudita.

    Almeno 13 attivisti per i diritti umani e per i diritti delle donne sono stati arrestati dalla metà di maggio. Sono accusati di aver messo a rischio la sicurezza nazionale. Alcuni di loro sono stati rilasciati, ma altri sono ancora detenuti in assenta di accuse formali, come sottolinea la Bbc.

    Al-Ghomgham è un’attivista donna saudita appartenente alla minoranza sciita. È nota per aver partecipato e documentato le proteste di massa iniziate nel 2011 per chiedere la fine della discriminazione sistematica che i cittadini sauditi affrontano nel paese a maggioranza sunnita.

    La minoranza sciita, nel paese dominato dai sunniti, sostiene di subire discriminazioni nel campo dell’istruzione e dell’occupazione e ha accusato le autorità di bandire o interferire con le loro cerimonie religiose, accuse sempre respinte da Riad.

    Le autorità hanno arrestato al-Ghomgham e suo marito in un raid notturno nella loro casa il 6 dicembre 2015 e da quel momento li hanno trattenuti nella prigione di al-Mabahith di Dammam.

    Israa al-Ghomgham da bambina, in una foto diffusa dagli amici su Twitter.

    Il pubblico ministero ha chiesto per loro la pena di morte all’inizio del processo, sulla base del principio legale islamico di “tazir“, in base al quale il giudice ha discrezione su ciò che costituisce un crimine e sulla sentenza.

    “Ogni esecuzione è spaventosa, ma chiedere la pena di morte per attivisti come Israa al-Ghomgham, che non è neanche accusata di comportamento violento, è mostruoso”, ha sottolineato Sarah Leah Whitson, direttrice Medio Oriente per HRW.

    L’Organizzazione saudita europea per i diritti umani e ALQST, un gruppo saudita per i diritti umani con sede a Londra, hanno chiesto alle autorità di far decadere le accuse contro Ghomgham, ma il governo saudita non ha ancora commentato il caso.

    In passato, molti attivisti sciiti sono stati condannati a morte per accuse che, secondo i gruppi per i diritti umani, hanno motivazioni politiche.

    Di recente il regno saudita, sotto l’impulso del potente principe ereditario Mohammed bin Salman, ha attuato una serie di riforme economiche e sociali. Tra queste, anche la riforma che consente per la prima volta alle donne di guidare nel paese.

    Nel frattempo, però, si è registrata un’ondata di arresti di dissidenti, intellettuali e attivisti, tra cui coloro che si erano impegnate per ottenere il diritto alla guida per le donne.

    Leggi anche: Quello che le donne in Arabia Saudita non possono ancora fare
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