Lo status, la posizione e la forza di al-Qaeda in Afghanistan non sembrano cambiati dopo un quarto di secolo di guerra al terrorismo, anzi. Il gruppo è tornato più attivo che mai, anche se continua a operare sotto traccia, motivo per cui quasi non se ne parla, se non tra gli addetti ai lavori. A dire il vero, la rete fondata dal defunto Osama bin Laden non ha mai lasciato il Paese governato dai talebani, che continuano, nelle loro varie ramificazioni, a mantenere stretti legami con l’organizzazione e a fornire rifugi e protezione ai loro leader e non solo.
Grazie al «clima permissivo» garantito dalle attuali autorità di Kabul, secondo l’ultimo rapporto presentato nel febbraio scorso al Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite dal Team di Monitoraggio del Comitato Onu per le Sanzioni contro l’Isis e al-Qaeda, almeno 21 diversi gruppi terroristici operano in Afghanistan. Tra questi c’è anche la rete di Bin Laden, guidata tra l’altro da due dei suoi figli.
Chi comanda oggi?
Sopravvissuto a vari tentativi di omicidio da parte degli Stati Uniti (l’ultimo ordinato nel 2019 dal presidente Donald Trump nella provincia sud-orientale afghana di Ghazni), secondo una serie di rapporti di intelligence riservati trapelati nel settembre scorso sul quotidiano britannico The Mirror, Hamza Bin Laden sarebbe diventato, insieme a suo fratello Abdullah, la figura di riferimento di al-Qaeda dopo la morte del padre Osama, ucciso nel 2011 in un raid delle forze speciali statunitensi in Pakistan, e del suo vice Ayman al-Zawahiri, morto nel 2022 in un attacco aereo Usa a Kabul. Il 35enne trascorrerebbe oggi la maggior parte del suo tempo a Jalalabad, a soli 160 chilometri a est della capitale Kabul, dopo aver passato diversi anni da latitante a cavallo del confine con l’Iran per nascondersi dagli Usa.
Al di là del presunto ruolo giocato dai figli di Bin Laden, ammesso che siano ancora vivi, il leader de facto del gruppo è il 60enne egiziano Sayf al-Adel, noto anche con i nomi di Muhamad Ibrahim Makkawi, Ibrahim Al-Madani, Muhamad Salah al-din al-Halim Zaydan. Accusato dagli Usa di aver pianificato gli attentati del 1998 alle ambasciate americane di Dar es Salaam, in Tanzania, e di Nairobi, in Kenya, prima della morte di al-Zawahiri, al-Adel era responsabile del cosiddetto “Comitato Hittin”, che coordina le attività internazionali dell’organizzazione.
Struttura gerarchica
Al-Qaeda però, come sottolineano nel loro ultimo rapporto gli esperti dell’Onu, resta un’organizzazione «strettamente gerarchica», in cui gli affiliati «godono di maggiore autonomia operativa, ma continuano a richiedere l’autorizzazione dei leader per le decisioni critiche». Pertanto il gruppo mantiene una struttura ben definita. Tra i principali collaboratori di al-Adel infatti figurano Abu Jaffar al-Masri e Abu Yasser al-Masri, accusati di aver tentato di costituire nuove cellule terroristiche in Iraq, Libia, Siria e in Europa, in particolare tramite i loro emissari nei Paesi arabi, Sayfullah Somali e Sher Hafiz, e nel Vecchio continente e Nord Africa, Abu al-Obaida. Figura di collegamento tra le varie affiliazioni regionali di al-Qaeda invece, dopo la morte del terrorista libico Atiyatullah al-Libi, è diventato Abu Hassan al-Waili, che ha affidato al suo sodale Hyas Masi Ullah, attivo nella provincia afghana di Kunar, al confine con il Pakistan, l’incarico di gestire le finanze dell’organizzazione. Ad Hakim al-Masri, anch’egli operativo a Kunar, è stata invece affidata la gestione dei campi di addestramento per attentatori suicidi. Altra figura importante del gruppo in Afghanistan è invece Abdul Rahman al-Ghamdi, accusato di aver gestito i rapporti esterni di al-Adel con i gruppi attivi nel Paese e oltre.
L’organizzazione terroristica, come altre operanti in Afghanistan, può infatti contare anche sull’afflusso di miliziani dall’estero. Secondo l’ultimo rapporto presentato al Consiglio di Sicurezza Onu, continuano «le segnalazioni di un piccolo ma costante flusso di combattenti stranieri in Afghanistan, principalmente dall’Asia centrale e dal Medio Oriente». Tra questi, secondo gli esperti delle Nazioni Unite, un numero compreso tra 25 e 30 terroristi provenienti dal Medio Oriente si è recentemente unito all’unità Katiba Umer Farooq di al-Qaeda, attiva nella provincia di Kunar. La rotta segreta dei miliziani passerebbe dalle città iraniane di Mashhad e Zabol ed entrerebbe in Afghanistan attraverso la località di Zaranj, nella provincia di Nimroz, e presso Islam Qalah e Torghundi, nella provincia di Herat. Da qui, secondo gli esperti dell’Onu, sono «recentemente arrivati» a Kunar e Nuristan un imprecisato numero di «comandanti di al-Qaeda di etnia araba che avevano operato in precedenza nel Paese e avevano legami storici con i talebani». Tra questi, segnala il rapporto, figurano: Abu Hamza al-Anbari al-Iraqi, proveniente dall’Iraq e attivo nelle province afghane di Wardak e Sar-e Pul; e i veterani di al-Qaeda nella Penisola araba, Abd al-Qadir al-Masri e Ali Umar al-Kurdi, emigrati in Afghanistan dallo Yemen.
Ma quest’afflusso di terroristi, malgrado le smentite del portavoce del ministero degli Esteri talebano Abdul Qahar Balkhi, non sarebbe possibile senza l’appoggio del governo di Kabul attraverso il rilascio di «documenti di viaggio legali». «I membri dei gruppi affiliati ad al-Qaeda che operano in Afghanistan, etichettati come rifugiati, hanno ricevuto passaporti afghani e documenti di identità nazionali (tazkiras) dal ministero degli Interni, consentendo la loro potenziale infiltrazione nei Paesi vicini», si legge nel rapporto presentato al Consiglio di Sicurezza. Un ministero retto da una figura che conosce molto bene la leadership del gruppo.
Rapporti “istituzionali”
L’attuale ministro infatti, Sirajuddin Haqqani, è figlio del molvì Jalaluddin, uno dei leader della resistenza antisovietica negli anni Ottanta che già allora era in contatto con Osama Bin Laden e che durante il primo governo talebano ricoprì il ruolo di ministro degli Affari Tribali. A seguito dell’invasione statunitense poi, Jalaluddin fondò la cosiddetta “Rete Haqqani”, un’organizzazione terroristica attiva prevalentemente lungo la linea Durand che separa l’Afghanistan dal Pakistan, nelle province sud-orientali di Paktia, Paktika e Khost e in quelle di Logar e Wardak, vicino a Kabul.
Una famiglia di primo piano sia nell’élite terroristica afghana che nella politica, anche internazionale. Il figlio Anas infatti, in qualità di capo dell’Ufficio politico della rete Haqqani, partecipò alle trattative per la formazione del nuovo governo dopo la fuga delle truppe statunitensi dal Paese nell’agosto del 2021, riuscendo a far nominare il fratello Sirajuddin al ministero degli Interni. Il 23 marzo scorso poi Kabul ha ottenuto dagli Stati Uniti la rimozione delle taglie multimilionarie che ancora pendevano sulla testa di Sirajuddin, Abdulaziz e Yahya Haqqani dopo la liberazione di un cittadino americano da una prigione talebana a seguito di una visita a Kabul di una delegazione composta dall’ex rappresentante speciale Usa per l’Afghanistan, Zalmay Khalilzad, e dal consigliere di Trump, Adam Boehler. Un provvedimento singolare visti i rapporti del ministro e della sua famiglia con al-Qaeda.
Tra i consiglieri di Sirajuddin infatti figura anche il libico Abdelazim Ben Ali che, secondo l’ultimo rapporto dell’Onu, è considerato organico al gruppo terroristico responsabile degli attentati dell’11 settembre 2001, ma non solo. Alla famiglia Haqqani apparterrebbe anche la quarta moglie di Hamza Bin Laden, che terrebbe incontri regolari con i leader talebani, accusati di proteggere attivamente diverse importanti figure del gruppo terroristico. I membri di basso profilo dell’organizzazione, secondo gli esperti dell’Onu, «risiedono con le loro famiglie (in Afghanistan, ndr), sotto la protezione del servizio di intelligence talebano (la direzione generale dell’intelligence, ndr) in alcuni quartieri di Kabul», in particolare nelle zone di «Qala-e-Fatullah, Shar-e-Naw e Wazir Akbar Khan». I capi invece vivono «in aree rurali fuori dalla capitale», come «il remoto villaggio di Bulghuli, nella provincia di Sar-e Pul» o in varie località delle province di Kunar, Ghazni, Logar e Wardak. Il già citato Hamza al-Ghamdi, ad esempio, vivrebbe con la sua famiglia «nell’area altamente protetta di Shashdarak, a Kabul», mentre il suo sodale Abu Ikhlas Al-Masri si nasconderebbe «in un complesso altamente protetto nel quartiere di Afshar», sempre nella capitale, che ospita un «centro di addestramento per le forze talebane». Lo scopo di questi legami così stretti è appunto ricreare la rete di infrastrutture terroristiche presenti in Afghanistan prima dell’invasione statunitense, che permettevano di addestrare i miliziani di entrambi i gruppi. Malgrado controllino la maggior parte del Paese infatti, i talebani devono far fronte all’insurrezione di diverse organizzazioni armate, sia di resistenza che terroristiche, come il Fronte di Resistenza Nazionale, guidato da Ahmad Massoud (figlio del leggendario comandante mujaheddin) che dal vicino Tagikistan opera prevalentemente nel nord-est, e le varie ramificazioni fedeli al sedicente Stato Islamico (Isis), quali lo Stato Islamico-Provincia di Khorasan (Iskp) e lo Stato Islamico-Provincia del Pakistan (Ispp).
La mappa del terrore
A questo scopo, insieme al fratello Abdullah, Hamza Bin Laden sarebbe già riuscito a sviluppare una decina di campi di addestramento nel Paese, stringendo anche importanti legami con altri gruppi terroristici. Oltre ai rifugi assicurati ai membri di spicco di al-Qaeda a Kabul e nelle zone di Kandahar, Ghazni, Laghman, Parwan, Herat e Helmand, che consentono anche ai miliziani di spostarsi nel vicino Iran, da dove poi possono raggiungere diversi Paesi arabi, i principali campi di addestramento del gruppo si trovano nelle province di Helmand, Ghazni, Laghman, Parwan e Uruzgan e nei pressi delle località di Zabul, Nangarhar, Nuristan, Badghis e Kunar, mentre la valle del Panjshir ospiterebbe una base per lo stoccaggio delle armi del gruppo.
Se alcuni di questi campi, il cui responsabile è il già citato Hakim al-Masri, potrebbero essere temporanei, l’organizzazione può comunque fare affidamento sull’infiltrazione di cinque madrase nelle province di Laghman, Kunar, Nangarhar, Nuristan e Parwan. «Le attività di riorganizzazione e addestramento di al-Qaeda, così come i nuovi viaggi in Afghanistan, indicano che il gruppo usa ancora il Paese come rifugio, grazie al permesso dei talebani», rileva un rapporto pubblicato nel marzo scorso dal servizio di ricerca del Congresso degli Stati Uniti, secondo cui l’organizzazione mantiene un «basso profilo» per conformarsi alle «direttive dei talebani contro lo svolgimento di operazioni esterne e di reclutamento». Ma le attività del gruppo non si fermano qui.
Galassia di morte
«Nonostante l’attuale mancanza di capacità di condurre operazioni su larga scala all’esterno», secondo gli esperti delle Nazioni Unite, «al-Qaeda ha cercato di rafforzare la cooperazione con le organizzazioni terroristiche regionali di origine non afghana». In particolare, allo scopo di infiltrarsi anche in Asia centrale, il gruppo avrebbe intessuto rapporti con il “Movimento islamico del Turkestan orientale” (ETIM/TIP), il “Movimento Islamico dell’Uzbekistan” e con l’organizzazione “Jamaat Ansarullah”. Per mantenere la propria presenza oltre confine, inoltre, avrebbe approfondito i legami con i terroristi di Tehrik-e Taliban Pakistan (TTP) e tentato persino di riattivare le cellule dormienti in Iraq, Libia, Siria ed Europa al fine di condurre, sul lungo periodo, nuovi attentati all’estero.
La collaborazione con questi gruppi è particolarmente preoccupante visto l’arsenale a loro disposizione. Tutte le organizzazioni citate infatti «hanno continuato ad avere accesso alle armi sequestrate all’ex Esercito nazionale afghano, trasferite loro direttamente dai talebani o acquistate sul mercato nero». Il solo “Movimento islamico del Turkestan orientale” (ETIM/TIP), secondo il rapporto Onu, avrebbe addirittura avuto accesso ad armi pesanti come missili anticarro, tra cui razzi BGM-71 TOW, e droni “Falcon”. Ma non è solo l’arsenale bellico a preoccupare, quanto la capacità operativa di questi gruppi alleati ad al-Qaeda.
L’ultima organizzazione citata, ad esempio, conterebbe fino a 500 miliziani e condividerebbe con altre sigle terroristiche una serie di campi di addestramento nelle province di Balkh, Badakhshan, Kunduz, Kabul e Baghlan. Tehrik-e Taliban Pakistan (TTP) invece, a cui i talebani avrebbero fornito logistica e supporto operativo e finanziario, ha condotto centinaia di attentati nel Paese vicino, lanciandoli anche dal territorio afghano. Il gruppo, guidato da Noor Wali Masoud (la cui famiglia ha ricevuto da Kabul un finanziamento mensile di circa 43mila dollari), ha costituito una serie di centri di addestramento autonomi nelle province di Kunar, Nangarhar, Khost e Paktika, collaborando in particolare con una ramificazione dell’organizzazione fondata da Bin Laden, denominata “al-Qaeda nel Subcontinente Indiano” (AQIS), con cui ha condotto una serie di attacchi sotto la bandiera di “Tehrik-e Jihad Pakistan” (TJP). Una sorta di organizzazione ombrello per miliziani appartenenti a diversi gruppi attivi nella regione, sfruttati dai talebani per contrastare l’Isis.
Tra questi figura anche Jamaat Ansarullah che, secondo gli esperti dell’Onu, gestisce una serie di campi di addestramento nella provincia di Khost, dove al-Qaeda ha messo loro a disposizione «ingegneri e istruttori militari». Insieme poi i due gruppi hanno fondato «un centro speciale» nel distretto di Kalafgan della provincia di Takhar «per addestrare combattenti arabi e dell’Asia centrale». Quest’ultima organizzazione costituisce una delle punte di diamante della collaborazione tra i talebani e al-Qaeda. I padroni di Kabul infatti hanno fatto ricorso ai miliziani di Jamaat Ansarullah e ai terroristi del gruppo fondato da Bin Laden per formare un’unità di attentatori suicidi del cosiddetto Battaglione del Martirio di Lashkar-e Mansouri a Fayz Abad, nella provincia di Badakhshan, per contrastare i gruppi insorti contro il governo talebano. Insomma, sebbene mantenga un basso profilo, al-Qaeda in Afghanistan è tutt’altro che finita.