Manovra, stretta sulle pensioni nel maxi-emendamento del Governo
Il Governo Meloni vuole rendere più stringenti i requisiti per poter andare in pensione. L’intenzione è quella di intervenire sulle pensioni anticipate: da un lato, allungando i tempi della cosiddetta “finestra mobile” e, dall’altro, decurtando il contributo del riscatto della laurea al raggiungimento dei requisiti.
Le novità sono state inserite, insieme ad altre misure, nel maxi-emendamento da 3,5 miliardi presentato dall’esecutivo per ritoccare la Legge di Bilancio 2026, da approvare entro la fine dell’anno.
Il pacchetto di modifiche prevede anche nuovi fondi per le agevolazioni Zes (Zona economica speciale) e il Piano Transizione 5.0, interventi questi ultimi accolti con particolare soddisfazione da Confindustria. Le coperture economiche sono garantite anche dalla decisione di rinviare una parte degli stanziamenti per il Ponte sullo Stretto di Messina in seguito alla bocciatura della Corte dei Conti.
Da segnalare che a operare il giro di vite sulle pensioni è un governo sostenuto da partiti – in particolare Lega e Fratelli d’Italia – che quando erano all’opposizione hanno condotto dure battaglie contro la Legge Fornero, che nel 2012 ha notevolmente irrigidito il sistema pensionistico italiano. Proprio il Ministero dell’Economia – regista della manovra finanziaria – è guidato da un leghista, Giancarlo Giorgetti.
Il giro di vite sulle pensioni anticipate
La principale stretta sulla previdenza riguarda le pensioni anticipate, ossia quelle che oggi scattano con 42 anni e 10 mesi di contributi per i maschi e 41 anni e 10 mesi per le femmine. L’emendamento del Governo va ad allungare i tempi della “finestra mobile”, ovvero il tempo che passa tra il raggiungimento dei requisiti per andare in pensione e il momento in cui si inizia effettivamente a ricevere l’assegno previdenziale.
Nello specifico, si prevede che dal 2032 la finestra mobile si allungherà progressivamente: dai 3 mesi attuali a 4 mesi nel 2032, poi 5 mesi nel 2033 e 6 dal 2034. In pratica, entro una decina d’anni chi avrà raggiunto i requisiti della pensione anticipata (42 anni e 10 mesi per i maschi, 41 anni e 10 mesi per le femmine) inizierà a ricevere la pensione solo sei mesi dopo aver lasciato il proprio posto di lavoro. Nel frattempo dovrà mantenersi a proprie spese senza introiti.
Secondo la Cgil, questa misura, combinata con gli adeguamenti pensionistici legati all’aspettativa di vita, porterà il requisito contributivo effettivo a 43 anni e 9 mesi entro un decennio.
Il taglio sul riscatto della laurea
In base all’emendamento del Governo, inoltre, dal 2031 viene decurtato il contributo del riscatto della laurea al raggiungimento dei requisiti per la pensione anticipata: una parte dei mesi riscattati per la laurea non rileverà più ai fini della maturazione dei requisiti. Scatta infatti una sterilizzazione che parte da 6 mesi (che quindi non concorrono al calcolo) per chi matura i requisiti nel 2031 e sale progressivamente fino ad arrivare a 30 mesi per chi li matura nel 2035.
La Cgil solleva questioni di legittimità costituzionale su questa norma e stima che alcuni lavoratori che hanno riscattato periodi di studio potrebbero dover accumulare fino a 46 anni e 3 mesi di contribuzione complessiva prima di accedere alla pensione.
LEGGI ANCHE: Benvenuti nell’era dell’Ereditocrazia, dove non conta il lavoro ma solo il patrimonio
Il silenzio assenso sul Tfr
Un’altra importante novità in materia di pensioni riguarda i neo-assunti. Stando alla norma che il centrodestra vuole introdurre in manovra, dal 2026 per tutti nuovi contratti di lavoro sarà prevista l’adesione automatica alla previdenza complementare.
In particolare, il lavoratore avrà 60 giorni dall’assunzione per scegliere di rinunciare a “conferire l’intero importo del Tfr maturando a un’altra forma di previdenza complementare dallo stesso liberamente prescelta”. Si tratta, in altre parole, di un meccanismo di “silenzio-assenso”, che presuppone l’accordo del lavoratore in assenza di una sua manifestazione contraria.
L’intervento mira ad aumentare il ricorso alla previdenza complementare, dato che la crisi demografica nei prossimi anni metterà a dura prova il sistema pensionistico pubblico.