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    Cuneo fiscale significato: cos’è e perché il Governo ne vuole il taglio

    Credit: ALBERTO PIZZOLI / AFP

    Cosa c'è da sapere sul taglio del cuneo fiscale, la misura cardine della manovra economica 2020

    Di Enrico Mingori
    Pubblicato il 24 Set. 2019 alle 18:09 Aggiornato il 25 Set. 2019 alle 14:33

    Cuneo fiscale significato: cos’è e perché il Governo ne vuole il taglio

    Il taglio del cuneo fiscale è una delle misure principali che il nuovo governo vuole realizzare con la Legge di Bilancio 2020. Secondo le due forze di maggioranza, Pd  e M5S, questo intervento potrebbe far bene all’economia italiana, favorendo i consumi.

    Ma qual è il significato di cuneo fiscale? Di seguito lo spieghiamo con parole semplici e comprensibili anche per chi non ha dimestichezza con il vocabolario economico.

    Cos’è il cuneo fiscale: significato

    Il cuneo fiscale è un indicatore che misura il peso delle imposte e dei contributi sul costo del lavoro. In altre parole, è la differenza tra quanto un lavoratore costa al datore di lavoro e la somma di denaro netta che quello stesso lavoratore effettivamente percepisce.

    In teoria, il significato di cuneo fiscale è più ampio. Nelle scienze economiche questo indicatore studia le distorsioni della domanda di un bene in seguito dell’introduzione di una tassa sulla produzione e/o sul consumo di quello stesso bene. Nel dibattito politico, tuttavia, ci si riferisce comunemente all’indicatore descritto sopra, limitandosi cioè al suo significato nel quadro del mercato del lavoro.

    Con cuneo fiscale, per concludere, si intende sostanzialmente la somma delle imposte tributarie e dei contributi che gravano sul costo del lavoro. Esso può essere determinato sia per i lavoratori dipendenti sia per gli autonomi o i liberi professionisti.

    Taglio cuneo fiscale: perché

    Il taglio del cuneo fiscale è un’operazione di cui si dibatte da anni. Come è facilmente intuibile,  significa ridurre il peso delle imposte e dei contributi sul costo del lavoro. A seconda di come venga attuato, questo alleggerimento può produrre benefici economici per il lavoratore, per il datore di lavoro oppure per entrambi.

    Se vengono alleggeriti solo i contributi a carico del lavoratore, ad esempio, il datore di lavoro non ne ricaverà alcun beneficio. Allo stesso modo, se vengono ridotte solo le tasse in busta paga a carico delle imprese, il lavoratore rischierà di non averne alcun vantaggio. Se invece vengono tagliati sia gli oneri a carico delle aziende sia quelli a carico del lavoratore, entrambi ne trarranno giovamento.

    Il taglio del cuneo fiscale generalmente viene operato perché può essere una buona leva di stimolo all’economia. Gli obiettivi possono essere: snellire il mercato del lavoro, favorire le assunzioni, ridurre la pressione fiscale a carico delle imprese, favorire i consumi.

    Il taglio nel 2020

    Come detto più volte dal premier Giuseppe Conte, il taglio del cuneo fiscale è tra le misure principali da attuare con la Legge di Bilancio 2020 (insieme ad altre come il salario minimo).  Il Governo Conte Bis, come si legge nelle linee guida dell’accordo tra M5S e Pd, vuole tagliarlo “a vantaggio dei lavoratori”, ossia vuole ridurre le tasse sul lavoro allo scopo di aumentare le entrate economiche per il lavoratore, in modo da stimolarne i consumi.

    Secondo i dati dell’Istat, al 2017 il costo del lavoro dipendente in Italia risulta in media pari a 32.154 euro annui, sostanzialmente stabile rispetto al 2015. Il cuneo fiscale e contributivo, dice l’Istat, è pari al 45,7 per cento del costo del lavoro, in lieve calo rispetto agli anni precedenti (46,0 per cento nel 2015, 46,2 per cento nel 2014).

    Per la manovra economica 2020 sono due le ipotesi sul tavolo. La prima consiste nell’introdurre un credito di imposta che si traduca per il lavoratore in una sorta di stipendio aggiuntivo da circa 1.500 euro, che potrebbe essere liquidato nel mese di luglio. Questo pagamento assorbirebbe il bonus Renzi da 80 euro. La seconda ipotesi è quella di un taglio secco dei contributi a carico del lavoratore (che attualmente, per un lavoratore dipendente a tempi indeterminato, sono pari al 9 per cento).

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