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“La razza zingara”, il libro che racconta le baraccopoli romane in 25 anni di storia

Credit: ANSA / Chiara Acampora

Un titolo provocatorio per il libro di Carlo Stasolla (Tau editrice) che racconta gli errori nelle politiche che in Italia e a Roma hanno portato alla costituzione e all'istituzionalizzazione dei campi rom e dei villaggi attrezzati

Di Anna Ditta
Pubblicato il 18 Feb. 2021 alle 19:36 Aggiornato il 18 Feb. 2021 alle 20:49

Candoni. Lombroso. Gordiani. Castel Romano. Salone. La Barbuta. Salviati. Sono i nomi di alcune delle baraccopoli, istituzionali o tollerate, che ricorrono da un decennio all’altro nella storia raccontata da Carlo Stasolla ne La razza zingara. Dai campi nomadi ai villaggi attrezzati: lo “scarto umano” in 25 anni di storia (Tau editrice, 2020). Sono nomi familiari per chi ha seguito la cronaca romana negli ultimi anni, e per chi segue le attività di monitoraggio e assistenza svolte da anni dall’Associazione 21 luglio, di cui Stasolla è fondatore e presidente. Ma rappresentano anche il luogo in cui hanno vissuto e continuano a vivere uomini, donne e bambini ritenuti meno cittadini di altri, cittadini a metà, membri di un’umanità “altra” perché imprescindibilmente diversa.

“Figli di caino”, “figli del vento”, “zingari”, “nomadi”, “rom”: sono tutte etichette e appellativi affibbiati a questo popolo da altri, così come un destino, quello della vita nella marginalità della baraccopoli, che non è stato risparmiato neanche a chi, negli anni Novanta, arrivava in Italia per fuggire dalla guerra in Jugoslavia.

Sono tre in particolare gli elementi che emergono chiari e lampanti dalla lettura del libro di Stasolla, che percorre 25 anni di gestione e mancata gestione dei flussi migratori e poi dell’integrazione di persone rom in Italia e a Roma. C’è innanzitutto la questione della “razzizzazione”: un filo che lega le idee lombrosiane all’antiziganismo ancora oggi diffuso nella nostra società, passando attraverso il dolore socialmente rimosso del Porrajmos (il genocidio nazifascista della comunità rom). Un processo che porta alla chiusura di un intero popolo in un destino precostituito, senza passato e presente, da cui nessuno può liberarsi.

C’è poi una questione linguistica. I rom sono stati a lungo indicati come “nomadi”, visti come titolari di una “cultura zingara” che li spingerebbe a spostarsi di continuo, a non accettare una vita secondo i canoni comunemente accettati dalla nostra società. In quanto nomadi devono vivere nelle piazzole di sosta, in tende, roulotte o baracche provvisorie. Di loro deve occuparsi un “Ufficio Nomadi” del Comune di Roma (poi ribattezzato “Ufficio Rom, Sinti e Caminanti”) che è e resta l’unico ufficio ad hoc rivolto alla popolazione di una “razza” specifica. Come se non fossero uguali agli altri poveri e ai senza casa non-rom. Come se potessero e dovessero esistere, per loro, soluzioni diverse quelle approntate per tutti gli altri: dai servizi sociali alle case popolari o all’assistenza cui fanno ricorso le altre famiglie in difficoltà.

C’è infine, legata strettamente alle altre due, una questione di politiche sbagliate, messe in atto in Italia e in particolare a Roma, da amministrazioni anche di opposto colore politico. Amministrazioni e amministratori che hanno tradotto le baraccopoli da “emergenza” ad assetto immutabile della realtà. Non c’è forza politica oggi in Italia che non si schieri per la chiusura dei campi o dei “villaggi attrezzati”, eppure nessuno è ancora riuscito a realizzarla davvero, nel rispetto dei diritti umani di chi vive all’interno di queste favelas.

Massicci finanziamenti al sistema dei campi (come quello messo in luce dall’inchiesta Mafia-Capitale) e una serie di sgomberi forzati uno dietro l’altro, in un terribile gioco dell’oca, sono gli interventi pubblici che – come emerge dalle pagine del libro – sono stati messi ripetutamente in campo e che, ad oggi, non hanno contribuito a migliorare le condizioni di vita degli abitanti delle baraccopoli.

Il libro di Carlo Stasolla ci fa vedere tutto questo, con puntualità e oggettività. Ma va anche oltre, e lo fa nell’ultimo capitolo, dove l’autore ripercorre la storia, ma stavolta da testimone diretto, attingendo ai suoi 14 anni di vita negli insediamenti della Capitale e dai 16 anni successivi di studio, ricerca e attivismo. È questa la parte più preziosa del lavoro di Stasolla, perché ci permettere di rileggere le pagine precedenti all’insegna di una chiave, quella dell’umanità, che dovrebbe guidare anche l’azione di tutti coloro che amministrano, gestiscono assistono o raccontano queste persone o queste realtà. La razza zingara dovrebbe essere letto da ogni sindaco, assessore, politico, giornalista, assistente sociale, membro delle forze dell’ordine, operatore e in generale da chiunque voglia prendere coscienza di una questione che non riguarda i rom, ma noi e la società in cui viviamo. Prima del lavoro di Stasolla, forse, chi ha commesso degli errori in materia potrebbe dire di aver agito in buona fede, di non aver avuto gli strumenti adeguati. La razza zingara fa cadere ogni alibi, ora tocca solo a noi raccogliere il seme lanciato dall’autore e metterlo a frutto.

L’autore presenterà il libro sabato 20 febbraio alle ore 15.00 in diretta sulla pagina Facebook e sul canale Youtube “Associazione 21luglio”. Intervengono Francesca Danese, portavoce del Forum Terzo Settore – Lazio, e Christian Raimo, scrittore. Modera Anna Ditta, giornalista di TPI. Qui il link dell’evento su Facebook.

Per acquistare il libro, oltre alla casa editrice, si può scrivere a: info@21luglio.org. In quest’ultimo caso l’intero ricavato sarà trasformato in pacchi-bebè per mamme in situazioni di disagio economico post pandemia.

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