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Quando e perché abbiamo smesso di leggere i libri ad alta voce

Credit: Afp

Alcuni cambiamenti culturali hanno segnato il passaggio dall'oralità alla lettura solitaria, una pratica assai rara prima del diciottesimo secolo

Di Emma Zannini
Pubblicato il 20 Nov. 2017 alle 13:07 Aggiornato il 20 Nov. 2017 alle 14:50

Nell’immaginario comune la lettura è una pratica solitaria, tipica dei momenti di quiete. Per secoli nei territori europei chi sapeva leggere lo faceva a voce alta, ed è solo a partire dal Seicento che la cultura della lettura ha iniziato a cambiare drasticamente, anche a causa di alcune precedenti invenzioni come quella della stampa a caratteri mobili, nel 1455.

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Nell’antichità la lettura silenziosa era considerata strana e inusuale, mentre era normale condividere ciò che si stava leggendo con gli astanti. Robert Darnton, storico statunitense, afferma che fino al diciottesimo secolo “per le persone comuni la lettura era un’attività sociale. Aveva luogo durante riunioni, nei fienili e nelle taverne. Era quasi sempre orale ma non necessariamente edificante”.

Ad un certo punto questa pratica è cambiata. Verso la fine del Settecento, la lettura silenziosa avveniva di norma tra i ceti più colti e benestanti.

La diffusione dell’alfabetizzazione e il conseguente aumento della domanda di libri e giornali innalzò la produzione del materiale da leggere semplificandone la diffusione e ampliando la varietà dei generi, con il crescente successo del romanzo.

A tal proposito Darnton sottolinea come fino alla metà del Settecento le persone che sapevano leggere possedessero generalmente solo tre libri, ovvero la Bibbia, un almanacco e alcuni libretti religiosi, che leggevano e rileggevano più volte. Dalla metà dell’Ottocento, invece, si diffuse la lettura di periodici e giornali.

La lettura silenziosa aiutava a sviluppare rigore intellettuale, introspezione, e un pensiero critico nei confronti del governo e della religione che non poteva essere espresso oralmente. Proprio per questo tale pratica era biasimata da chi la considerava un’attività per pigri e sognatori, priva della necessaria intermediazione delle istituzioni politiche e religiose per l’interpretazione dei testi.

Nel corso dell’Ottocento, la lettura silenziosa era diventata talmente popolare che si iniziò anche a temere che stimolasse nelle donne pericolosi pensieri sessuali.

Alcuni studiosi pensano che il passaggio alla lettura solitaria sia imputabile ad un cambiamento della pratica scrittoria: i Romani utilizzavano la scripta continua, cioè scrivevano le parole attaccate, senza spazio e senza punteggiatura, e questo richiedeva grande concentrazione e padronanza del testo.

L’introduzione degli spazi tra le parole, quindi, avrebbe costituito una forte spinta verso l’abbandono dell’oralità.

Ciò vale solo per la zona europea, perché in altre culture come quella cinese, dove già le parole erano distanziate e si utilizzava la prosodia, la lettura silenziosa può essersi sviluppata in modi e per ragioni differenti.

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