Leggi TPI direttamente dalla nostra app: facile, veloce e senza pubblicità
Installa
Menu
Home » Cultura

Matilde Serao: la donna che sfidò Mussolini

Credits: AGF

È stata la prima a ottenere il tesserino da giornalista. E a fondare un quotidiano nazionale. Ma non ha mai ricevuto il Nobel perché ostile al regime. Oggi Poste Italiane la commemora con un francobollo

Di Luca Telese
Pubblicato il 9 Dic. 2022 alle 11:30

Matilde è tornata e ha vinto, ancora una volta, la sua battaglia con la storia. In alcune folgoranti righe autobiografiche, poco prima di morire, Matilde Serao, giornalista, scrittrice instancabile, imprenditrice progressista (ed editrice di se stessa), raccontò un indimenticabile e teso scambio di battute avuto con Benito Mussolini. Serao – direttrice e fondatrice de Il Mattino, donna con un grande seguito di opinione ed un folto pubblico popolare – era per la sesta volta in corsa per il premio Nobel.

Il duce, che mal sopportava le sue posizioni liberali, le fece sapere che se avesse attenuato la propria ostilità al regime non si sarebbe opposto al fatto che a lei fosse assegnato il più prestigioso Premio letterario internazionale. In caso contrario, invece, avrebbe posto un veto, informale, ma potente. Serao – invece di piegarsi al ricatto – rispose con un gesto simbolico e allo stesso tempo potentissimo: l’adesione al manifesto degli intellettuali di Benedetto Croce.

L’epilogo fu questo: il veto annunciato fu posto, e il Nobel andò a Grazia Deledda, che in quel tempo non era solo una grandissima scrittrice italiana, ma anche un’intellettuale di provata fede fascista (aveva scritto il testo unico per le scuole dell’obbligo voluto dal Regime). Matilde, invece, si ritrovò con la tipografia assaltata e incendiata. Tuttavia, dopo questo episodio, Mussolini volle comunque incontrarla, forse per togliersi un sassolino dalla scarpa, un dubbio che ancora lo attanagliava: «Ho una curiosità – le disse a bruciapelo – mi spiega che cosa le ho fatto di male io, perché lei sia così anti-Mussoliniana?».

La direttrice de Il Mattino raccontò di avergli risposto con un sorriso: «Credo che lei non abbia capito. Io non sono anti-Mussoliniana. Io sono anti-fascista». Scambio di battute folgorante, netto, ma non privo di una sottile ironia. Memorie lunghe un secolo che in questi giorni sono tornate nel dibattito contemporaneo, sulla straordinaria attualità di questa figura, troppo spesso dimenticata, e sul suo impegno per la libertà di stampa e per un’editoria “pura” e non inquinata dai conflitti di interesse (vi ricorda qualcosa?).  

Da telegrafista a giornalista

Tutto accade grazie ad un francobollo commemorativo di Poste Italiane e ad un convegno organizzato giovedì scorso a Roma presso la sede di Piazza San Silvestro. Anche perché la Serao unisce con la sua biografia altri due importanti primati: fu la prima giornalista professionista donna della storia d’Italia (mai nessuna prima di lei aveva ottenuto il tesserino dell’ordine) e fu anche la prima direttrice fondatrice di un quotidiano nazionale (primato che nessuna donna oggi, anche dopo cento anni, ha ancora uguagliato). Ma soprattutto: da napoletana nata a Patrasso (perché il padre, ricorsi della storia, era esule in Grecia da anti-borbonico liberale), tornata in Italia povera, Matilde risalì tutti i gradini della scala sociale partendo dal grado di postina telegrafista.

Nel 1874, infatti, appena diplomata (fatto già questo non rituale), Serao iniziò la sua folgorante carriera dettando e tramettendo telegrammi (anche in questo caso ritrovandosi, da pioniera, tra le prime donne d’Italia che riuscirono ad ottenere uno stipendio e un’assunzione dallo Stato). A ricordare Matilde Serao nel convegno di Roma, la scorsa settimana, Poste ha chiamato (e premiato con una targa in memoria di Matilde), tutte le giornaliste italiane che nel corso di venti anni hanno vinto il prestigioso premio a lei dedicato dalla fondazione che porta il suo nome, e che viene assegnato ogni anno dal Comune di Carinola (quello dove la scrittrice si trasferì, studiò e crebbe, al suo ritorno in Italia).

Così il colpo d’occhio della prima fila nella sala di Piazza San Silvestro era questo: si andava da  Lucia Annunziata («La Serao era il mio mito: da bambina dicevo che da grande avrei voluto fare il sindaco di Napoli o la Serao»). A Bianca Berlinguer («Se noi oggi siamo qui è anche perché prima di noi ci sono state donne come  lei») da Giovanna Botteri (collegata da Parigi, dove è corrispondente Rai) a Rosaria Capacchione (scrittrice e giornalista anticamorra). Da Adriana Cerretelli, (collegata da Bruxelles dove anche lei lavora), a Titta Fiore (scrittrice e giornalista de  Il Mattino), a Lucia Goracci (corrispondete della Rai dagli Stati Uniti) e Carmen Lasorella.

Ma c’erano anche le due dame de La7 Myrta Merlino e Tiziana Panella. E poi le donne dei quotidiani: la direttrice de la Nazione, Agnese Pini, la vice direttrice del Corriere della Sera, Fiorenza Sarzanini, altre tre firme come Donatella Trotta (che della Serao è diventata biografa), Sara Varetto (volto di Sky), Daniela Vergara, colonna della Rai  («Tra di noi sono quella che ha avuto il premio per la prima volta, il che spiega che non sono la più giovane – scherza –  anche se questo mi riempie di orgoglio»). 

La lotta per l’emancipazione

Su tutto, ha commosso la sala un bellissimo audio messaggio, di Natalia Aspesi (firma di La Repubblica, decana dei giornalisti italiani) che ha scritto un’affettuosa e auto ironica lettera alla fondatrice de Il Mattino, in cui confessa di invidiarle  soprattutto due cose: i suoi innumerevoli lettori e la sua libertà. Ed ecco l’incipit: «Gentile signora Serao, non oso chiamarla collega data la sua magnifica carriera di giornalista, diventata la prima donna italiana ad aver fondato nel 1885 e diretto, assieme a suo marito Edoardo Scarfoglio, un quotidiano, il Corriere di Roma, e poi il Corriere di Napoli e infine il Mattino.

La immagino imbronciata – scrive la Aspesi – perchéé, per quanto Lei si sia occupata anche di moda, cucina e mondanità, scriveva soprattutto d’altro, come di maestre suicide o, come nel suo libro più famoso “Il ventre di Napoli”, dell’abbandono da parte del governo dei quartieri miserabili della città. Scriveva anche di emancipazione, una forma primitiva di femminismo, quando le leggi di sottomissione della donna erano ferree e le altre signore la consideravano un’esaltata. Leggo i nomi delle colleghe premiate e penso che alcune di loro avranno sognato un altro modo di fare giornalismo, ma i tempi cambiano e la libertà non è più quella. C’è la pubblicità, ci sono i padroni, ci sono i personaggi immeritevoli ma indispensabili, ci sono gli influencer – ironizza la giornalista di Repubblica – che ci stanno sostituendo perchéé così va oggi il mondo del successo, se al successo ci tieni.

Eppure, come per lei, la passione non ci abbandona. Sono certamente la ragazza più vecchia che tutt’ora scrive ancora qualche sua stupidaggine che nessuno legge, essendo ora i miei lettori o defunti o passati a Tik Tok». Serao morì nel 1927, mentre scriveva un articolo. Il finale migliore che si possa immaginare per una donna che aveva detto: «Scrivere per me è la vita». Quante idee possono tornare in circolo, grazie ad un francobollo.

Leggi l'articolo originale su TPI.it
Mostra tutto
Exit mobile version