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Dante e il campanilismo che ci accompagna da secoli

Di Stefano Mentana
Pubblicato il 27 Giu. 2023 alle 08:41 Aggiornato il 27 Giu. 2023 alle 23:43

eNon potevamo che trovare in Toscana le radici del nostro campanilismo. Non poteva che essere la regione che ha inventato, se così si può dire, le lotte tra Guelfi e Ghibellini a saperci raccontare meglio questa caratteristica che ancora accompagna nel bene e nel male noi italiani. Che sia visto come una difesa delle tradizioni delle nostre città o come una forma di obsoleto provincialismo, non è certo qualcosa che è piovuto dal cielo in anni recenti e, come spesso accade, è retto da notevoli riferimenti letterari.

Non poteva che essere il Sommo Poeta, Dante Alighieri, a saperci raccontare qualcosa del genere meglio di altri. Perché il campanilismo, dicevamo, è una caratteristica che ci accompagna da tanto e intorno alla quale abbiamo sviluppato una certa creatività, come quella che il Sommo tira fuori per prendersela, da bravo fiorentino, con Pisa nel XXXIII canto dell’Inferno. Non un banale sfottò infantile – e ci mancherebbe, non sarebbe chiamato il “Sommo” -, ma qualcosa di ben più complesso. Dopo aver definito Pisa “vituperio delle genti”, auspica che le isole di Capraia e Gorgona facciano “siepe” sulla foce dell’Arno facendo affogare qualsiasi persona vi si trovi nella città toscana. Un macabro auspicio talmente articolato e surreale che più che inquietare rischia di strappare un sorriso.

Eppure, risulta paradossale sentire qualcosa che richiami così tanto il nostro concetto di campanilismo da parte dello stesso Dante che pochi canti più avanti, nel VI del Purgatorio, si mostra particolarmente critico verso questa caratteristica di noi italiani, arrabbiandosi a tal punto da lanciare la sua celebre apostrofe “Ahi serva Italia, di dolore ostello”. L’episodio che fa scattare in Dante la scintilla per quei noti versi avviene quando insieme a Virgilio, non sapendo su che strada proseguire, chiedono a un’anima del Purgatorio dove andare senza ricevere risposta.

Nell’insistere Virgilio decide di tirare fuori il suo asso nella manica e palesarsi come uno dei massimi autori di sempre: “Mantua…”, inizia, salvo essere interrotto dal fino a quel momento taciturno interlocutore che, sentita la città d’origine, cambia completamente atteggiamento non per aver riconosciuto uno dei maggiori uomini di lettere di sempre, ma semplicemente “per lo dolce suon della sua terra”. “Mantovano, io son Sordello, della tua terra!”, replica infatti, identificandosi così al pubblico. E facendo soprattutto arrabbiare Dante, irritato proprio dall’atteggiamento campanilista che fa scattare la scintilla da cui partono alcuni dei più celebri versi della sua opera nei quali elenca le divisioni dell’Italia del suo tempo.

Nulla che non si sia mai visto, nulla che non accada anche oggi, e forse le divisioni degli italiani tanto ben raccontate da Dante sono le stesse di quando ci chiediamo se il campanilismo sia una cosa buona o meno. Come tante cose, può essere buona o meno, ma la morale è che fa parte di noi e ci accompagna da secoli.

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