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    Violenze, mobbing e infine la malattia: la storia di una dipendente Lidl

    Di Futura D'Aprile
    Pubblicato il 23 Giu. 2019 alle 13:36

    Violenze mobbing dipendente Lidl – Una storia di mobbing, violenze e malattia quella raccontata da Sara Silvestrini, una quarantenne di Lugo dipendente della Lidl, a L’Espresso.

    La donna ha raccontato di essere stata assunta dalla catena di supermercati nel luglio del 2005 e di aver dovuto subire per anni le angherie del suo caporeparto, arrivato a Lugo nel 2006: mansioni massacranti,  39 ore di straordinario in una settimana obbligatori, niente turni di riposo, lavoro sette giorni su sette.

    A ciò si è poi aggiunto lo stalking telefonico, le offese, violenze psicologiche e fisiche, mobbing, omofobia, e di mancato rispetto di ogni minimo standard di sicurezza e umanità, scrive L’Espresso.

    Fino al licenziamento “per giusta causa” a pochi giorni dal decennale dell’apertura del supermercato nonché dell’assunzione di Sara Silvestrini. La donna però ha deciso di portare il caso davanti al tribunale di Ravenna, che ha avvito un processo che vede come imputato principale l’ex caporeparto, accusato di aver provocato in Sara una malattia professionale.

    “Faccio la commessa per 3,20€ l’ora, a nero e senza tutele: questa è l’Italia dei 30enni”

    L’ex dipendente infatti soffre di disturbi da panico, secondo quanto diagnosticato dal reparto di Medicina del lavoro dell’azienda ospedaliera universitaria di Verona, che parla di “disturbo post traumatico da stress cronico reattivo a una condizione lavorativa che può essere inquadrata nelle molestie morali protratte”.

    Coma racconta Sara a L’Espresso, il caporeparto la costringe anche a chiamarlo ogni mattina “per essere puntualmente stigmatizzata sulle presunte mancanze del giorno prima. Ricevo insulti sempre sproporzionati rispetto ai miei errori, quando ci sono. Mi apostrofa con espressioni come ‘non serve bagnarti le mutande’, ‘sei un’esperta di banane, non di logistica’. (…) Mi invita a essere ‘gentile’ coi camionisti pur conoscendo la mia omosessualità”.

    La situazione degenera giorno dopo giorno, con turni sempre più massacranti, svolti per lo più di notte. Ma al mobbing, agli insulti e alla violenza psicologica si aggiunge anche quella fisica.

    “Il caporeparto mi dà delle spinte quando sono seduta nella mia postazione, stringendomi contro il pannello del box ‘uscita merci’. Poi strattoni, insulti  e minacce di altre violenze, mentre la depressione aumenta.

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