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    Sul lago d’Iseo rischiamo un altro Vajont

    Credit: AGF

    Interi borghi tra Bergamo e Brescia vivono nell’incubo di essere spazzati via da un’onda anomala alta otto metri. Innescata dalla caduta di milioni di metri cubi di roccia. L'inchiesta sul nuovo numero di TPI, in edicola dal 10 dicembre

    Di Nuri Fatolahzadeh
    Pubblicato il 12 Dic. 2021 alle 07:02
    L’emergenza si vede. Per la strada ha la forma dell’asfalto che si rompe sotto i piedi, nelle case ha il suono delle pareti che tremano, nei paesi ha la voce acuta e stridula della sirena che simula l’evacuazione di massa possibile da un momento all’altro. Il mare non c’è, eppure interi borghi rischiano di essere spazzati via da un’onda anomala alta tra i sette e gli otto metri, innescata dalla caduta di milioni di metri cubi di roccia. Stare su un monte affacciato sul lago d’Iseo e vivere con l’ansia tsunami sembra un paradosso al punto che per anni il problema è rimasto solo in sottofondo, come quelle storie talmente sorprendenti da trasformarsi in leggende, con fascicoli stantii che si tramandano di scrivania in scrivania ad ogni cambio di mandato istituzionale.
    Nuri Fatolahzadeh

    Monte Saresano, fascia territoriale incastrata tra le province di Bergamo e Brescia: l’epicentro è Tavernola Bergamasca, duemila abitanti in tutto, ma la catena di comando di tutti i paesi di fronte, compresi Montisola (la più grande isola lacustre naturale d’Italia, tra i borghi più belli del Paese) e quelli incuneati sulla sponda bresciana, si è trovata in fretta e furia a dover avvertire la popolazione del pericolo e, soprattutto, ad aggiornare i piani d’emergenza.

    Nuri Fatolahzadeh

    La situazione “è degenerata” il 23 febbraio, quando la frana ha iniziato a scivolare giù dal pendio della montagna in modo accelerato, toccando un ritmo di 2,8 centimetri al giorno. È costituita da 2,1 milioni di metri cubi di materiale (roccia e terra) in movimento verso il lago: si tratta di una superficie di circa 100mila metri quadrati in discesa, da altitudini che variano dai 370 ai 630 metri. Oggi le crepe sull’asfalto sono profonde più di mezzo metro e continuano a crescere di giorno in giorno.

    A diminuire, invece, è l’apprensione istituzionale di Regione e governo, che si è (di nuovo) come anestetizzata: vero, la marcia dei massi ha rallentato, sembra che ora proceda in media di 3 millimetri al mese, «salvo imprevisti» dicono gli esperti. Ma il versante è tuttora in attività: basta misurare le crepe incise nell’asfalto per accorgersi che la frana si muove e non a caso la strada provinciale 78 è ancora interrotta. L’Università Bicocca e l’Università di Firenze hanno evidenziato come lo tsunami rappresenterebbe un disastro per «persone, coste, abitazioni, attività», un danno gigantesco per il turismo e l’ambiente, e hanno individuato tre scenari possibili.

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