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    Chiudere ancora le scuole creerà una generazione di persone ignoranti e sempre più povere

    Credit: Emanuele Fucecchi
    Di Valentina Chindamo e Cristina Sivieri Tagliabue
    Pubblicato il 12 Nov. 2020 alle 09:25 Aggiornato il 12 Nov. 2020 alle 09:57

    Sono giorni molto difficili per la scuola e in queste ore si stanno prendendo decisioni delicate per studenti e famiglie. La settimana scorsa il Governo ha varato un Dpcm che taglia in due la scuola media, permettendo solo alla prima media di svolgere le lezioni in presenza e lasciando quindi a casa gli studenti di seconda e terza media. Anita, studentessa che frequenta la seconda media della scuola Italo Calvino di Torino, ha deciso di protestare contro questa decisione del Governo. Così da venerdì scorso, ogni mattina, questa bambina di dodici anni va a scuola, si siede sulle scale dell’edificio e segue le lezioni dal tablet, sperando che qualcuno le dia voce. In questi giorni insieme a lei si sono aggiunti altri compagni e le mobilitazioni stanno iniziando a farsi sentire.

    Esattamente come ha fatto Greta Thunberg, Anita ha deciso di intraprendere un’azione pubblica silenziosa per tutelare il proprio diritto all’istruzione. Diritto calpestato fino a settembre, e ancora oggi messo in discussione ogni qualvolta si parla di salute. La verità è che tanti genitori e studenti non hanno capito il motivo delle scelte del Governo: perché chiudere le scuole anche quando studi scientifici mostrano che i contagi non avvengono in ambiente scolastico? Brusaferro, presidente dell’Istituto Superiore di Sanità, afferma che l’età più critica per i contagi è tra i 14 e i 18 anni. Ma allora perché altri Paesi europei hanno deciso di chiudere tutto tranne la scuola, garantendo inoltre la didattica in presenza per ogni livello e grado?

    La verità è che sono pochi i dati che giustifichino la chiusura della scuola, mentre invece esistono diversi studi che ci stanno mettendo in guardia su quello che potrà accadere se la scelta di chiudere non dovesse essere temporanea. 
Secondo l’Ocse, un terzo di anno scolastico perso può comportare un calo del Pil del 1,5%, in media, fino alla fine del secolo, ed un 3% in meno dei guadagni futuri dei nostri studenti. Questa stima è stata realizzata basandosi solo sul lockdown primaverile, senza contare il protrarsi dell’emergenza. Nell’arco degli scorsi mesi ci siamo resi conto che avevamo bisogno di una scuola diversa, che desse a tutti le stesse opportunità, ma ad oggi pare non essere cambiato nulla e si continua a lasciare indietro i più fragili.

    Quello che è capitato a febbraio sta accadendo di nuovo, e ricordiamo che sono ancora 300mila gli studenti senza pc o connessione. Molto potrebbero fare gli operatori informatici e delle telecomunicazioni: in Brasile per esempio non si paga quando si accede a risorse per la didattica a distanza. Il Dl Ristori mette a disposizione 85 milioni per l’acquisto di nuovi strumenti digitali e chiavette usb, ma questi non bastano neanche lontanamente a coprire il fabbisogno emerso ad inizio anno scolastico. Secondo i dati, in Italia, dopo un calo progressivo nei primi dieci anni del 2000, si è verificato un aumento della dispersione scolastica nel 2017 (14 per cento) e nel 2018 siamo arrivati al 14,5%.

    Il 27 marzo di quest’anno l’Unesco evidenziava uno degli effetti più preoccupanti della pandemia: la dispersione scolastica. Sono 1,6 miliardi gli studenti che hanno smesso di andare a scuola e il rischio è che questo numero possa aumentare con la seconda ondata. Quando parliamo di didattica a distanza non possiamo non valutare la dispersione scolastica o la condizione abitativa delle famiglie italiane. Altri dati Istat ci dicono che il 40% dei ragazzi vive in spazi esigui, le stanze sono sovraffollate per quasi la metà delle famiglie. Le case italiane sono grandi in media 81 metri quadri, più piccole rispetto a quelle di altri paesi in Europa con cui siamo soliti confrontarci: in Spagna parliamo di 97 metri quadri, in Germania di 109 e in Francia di 112. In Giappone invece la media è 95 metri quadri.

    La quarantena ha messo in evidenza alcune delle principali disuguaglianze scolastiche e sociali. Non possiamo fare finta che non esistano. Chi viene lasciato indietro adesso, rischia di non tornare più a scuola: potrebbe formarsi una “generazione Covid” a causa della mancanza di opportunità e dell’emarginazione sociale. Il numero dei docenti attualmente in isolamento fiduciario sta aumentando sempre di più e per le scuole elementari e medie sta diventando complicato sostituire gli insegnanti. La scarsità di risorse umane nelle scuole sta creando disagi tali per cui potrebbe essere necessario chiudere anche per le primarie, per impossibilità organizzativa.

    La scuola deve essere aperta a tutti e di tutti. Così non è stato durante il primo lockdown, ma adesso non possiamo permetterci che la scuola chiuda di nuovo. Gli studenti e le studentesse non meritano questo. Noi di Priorità alla Scuola da aprile gridiamo a gran voce per una scuola in presenza e in sicurezza. Abbiamo ancora la speranza di poter cambiare le cose, e anche grazie a persone come Anita ci mobiliteremo fino a quando sarà necessario. Venerdì, quindi, sulla scorta della storia di questa coraggiosa piccola grande attivista, l’appuntamento è davanti a tutte le scuole italiane per un’ora di didattica a distanza “in presenza”. L’abbiamo chiamato Schools For Future, e aspettiamo tutti gli studenti che vorranno partecipare.

    Leggi anche: 1. La didattica a distanza per le scuole superiori è un errore che colpirà i più poveri / 2. L’emergenza Coronavirus sta mostrando che la scuola favorisce i ricchi: il grande gap tra chi può e chi non può permettersi la didattica a distanza

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