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    Sabaudia, madre e figlia fanno incendiare lo stabilimento della concorrenza

    Di Marco Nepi
    Pubblicato il 10 Ott. 2022 alle 17:50 Aggiornato il 10 Ott. 2022 alle 17:51

    Sabaudia, madre e figlia fanno incendiare lo stabilimento della concorrenza

    Un incendio per bruciare la concorrenza. Due titolari di una concessione sulla spiaggia di Sabaudia, madre e figlia, sono state arrestate insieme ad altre due persone per aver dato alle fiamme uno stabilimento concorrente ai primi dell’anno. Le due donne, Mirella D’Indio e Tatiana Rizzi, sono sospettate di essere le mandanti dell’incendio doloso che nella notte tra il 5 e il 6 gennaio ha distrutto il “Duna 31.5”. La struttura, affacciata direttamente direttamente sulla spiaggia, era diventata una destinazione popolare dopo gli inizi travagliati, a causa di un lungo contenzioso con l’amministrazione comunale.

    A confermare la natura dolosa dell’incendio, che ha distrutto l’impianto di allarme e videosorveglianza dello stabilimento, il ritrovamento di una bottiglia contenente residui di liquido infiammabile.

    Secondo gli inquirenti, D’Indio e Rizzi, che lavora anche come modella, avrebbero avuto diversi screzi in passato con il “Duna”. Le due erano titolari de “L’ultima spiaggia”, una concessione per noleggio di sdraio e ombrelloni bloccata dopo una serie di violazioni accertate dai carabinieri forestali.

    Ad aver appiccato l’incendio sarebbe stato un giovane del posto, che in cambio avrebbe ricevuto dalle due 500 euro. Con lui avrebbe agito anche un secondo ragazzo. I due, già noti alle forze dell’ordine, sono stati messi in carcere. Le due donne sospettate di essere le mandanti si trovano invece ai domiciliari.

    Gli affari riguardanti le concessioni lungo il litorale di Sabaudia sono già stati al centro dell’inchiesta “Dune”, che negli scorsi mesi aveva portato all’arresto dell’ex sindaca Giada Gervasi, sotto processo insieme ad altre cinque persone. All’ex prima cittadina, accostata in passato alla Lega, e agli altri imputati sono stati contestati a vario titolo i reati di peculato, corruzione, induzione indebita a dare o promettere utilità, turbata libertà degli incanti e del procedimento di scelta del contraente e falsità ideologica commessa da pubblico ufficiale in atto pubblico.

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