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    Regeni, la procura di Roma è pronta al processo agli 007 egiziani. Ma il governo italiano teme al-Sisi

    I pm di Roma che indagano sul caso del giovane ricercatore di Fiumicello stanno per notificare la chiusura dell’inchiesta entro il 4 dicembre, termine previsto dalla legge

    Di Lara Tomasetta
    Pubblicato il 21 Nov. 2020 alle 16:14

    I nomi dei presunti assassini ci sono, li conosciamo bene ormai, appartengono alle alte sfere della National Security Agency egiziana. Eppure il tempo è scaduto e il governo di al-Sisi non ha fatto alcuna mossa per collaborare nelle indagini sulla morte di Giulio Regeni.

    I pm di Roma che indagano sul caso del giovane ricercatore di Fiumicello, ritrovato senza vita lungo l’autostrada che congiunge il Cairo e Alessandria, stanno per notificare la chiusura dell’inchiesta entro il 4 dicembre, termine previsto dalla legge, ai cinque agenti della National Security egiziana sospettati di essere i responsabili del sequestro e dell’omicidio del giovane italiano.

    Venerdì 20 novembre il premier Conte ha chiamato il presidente egiziano Abdel-Fattah al-Sisi per chiedere “degli ultimi sviluppi della cooperazione congiunta tra le autorità giudiziarie in merito alle indagini in corso sul caso dello studente friulano Giulio Regeni” ucciso al Cairo 5 anni fa, all’inizio del 2016.

    Lo riferisce una nota del portavoce della presidenza egiziana, sottolineando che “al-Sisi ha elogiato le ottime relazioni tra i due paesi nei vari campi, politico, militare ed economico, così come la cooperazione per affrontare molte sfide nella regione del Mediterraneo orientale, in particolare la lotta all’ideologia estremista ed il terrorismo”. Al-Sisi, prosegue la nota, ha inoltre ribadito “l’importanza che l’Egitto attribuisce allo sviluppo della cooperazione tra Egitto e Italia in diversi ambiti, ed al coordinamento e consultazione in merito a varie questioni regionali”.

    Entro le prossime due settimane, il pm Sergio Colaiocco depositerà gli atti di 4 anni di indagini e procederà nei confronti dei cinque funzionari della National security agency iscritti due anni fa nel registro degli indagati chiedendo un processo. Qualunque dovesse essere nei prossimi giorni la decisione del Cairo, il processo si terrà ugualmente: sia che intenda riconoscere la legittimità del procedimento italiano concedendo, come è stato insistentemente chiesto, l’elezione di domicilio dei suoi agenti indagati e dunque consentendo che gli possano essere notificati in Italia, presso un difensore, gli atti del processo che li accusa. O, al contrario, rovesciare il tavolo dichiarando irricevibili le conclusioni della procura.

    Come spiega Repubblica, qualora infatti i 5 indagati dovessero negare di qui alle prossime due settimane l’elezione di domicilio, la procura procederà comunque alla discovery dell’atto di accusa nei loro confronti notificandone il deposito ai difensori già nominati d’ufficio, alle parti civili (la famiglia Regeni) per poi procedere a un decreto di irreperibilità che consentirebbe al processo di cominciare. Anche nella contumacia dei suoi imputati.

    C’è chi sostiene che il presidente al-Sisi potrebbe allentare la presa e decidere di consegnare alla giustizia italiana gli uomini dei suoi Servizi responsabili della morte di Giulio, ma le dimostrazioni di forza degli ultimi giorni sembrano invece sancire quella che è stata la sua politica fino a oggi.

    Non dimentichiamo infatti che due giorni fa le autorità egiziane hanno arrestato un terzo esponente della Egyptian Initiative for Personal Rights (Eipr). Si tratta di Gasser Abdel-Razek, direttore generale dell’Ong. Un referenti di TPI in Egitto.

    È stato il terzo arresto in cinque giorni tra i vertici dell’Eipr, l’ong con cui collaborava Patrick Zaki, l’attivista per i diritti umani e ricercatore iscritto all’Università di Bologna, in carcere da nove mesi in attesa di giudizio. In precedenza erano stati già arrestati il direttore amministrativo Mohamed Basheer, e il responsabile del settore Criminalità e giustizia, Karim Ennarah.

    La politica degli arresti degli oppositori politici o dei dissidenti è il segno distintivo dell’attuale governo egiziano e né Conte, né la Farnesina hanno in qualche modo espresso preoccupazione per i recenti fermi. Un segno che nella ricerca della verità e giustizia per Giulio la famiglia Regeni può contare solo sulla forza della procura di Roma.

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