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    Polizia, continua la battaglia degli allievi esclusi dal concorso: “Nessuna elemosina, il nostro è un diritto”

    455 idonei con riserva manifestano per il loro diritto di essere assunti dalla Polizia di Stato dopo l'ingiusta esclusione dal concorso per via di un cambiamento - in corso d'opera - dei requisiti di partecipazione. "Abbiamo diritto ad essere assunti e non dovremmo doverlo elemosinare, questo diritto"

    Di Giulia Angeletti
    Pubblicato il 22 Gen. 2020 alle 20:23 Aggiornato il 27 Gen. 2020 alle 15:25

     

    Polizia, prosegue la battaglia degli allievi agenti esclusi dal concorso: la manifestazione a Montecitorio

    Quel pasticciaccio brutto degli allievi agenti della Polizia di Stato, esclusi dal concorso bandito nel maggio 2017 e volto all’assunzione di 1.148 nuove reclute, ancora non si è risolto. Anzi, ad oggi la soluzione appare ancora lontana. Nella giornata di mercoledì 22 gennaio 455 idonei con riserva hanno organizzato una manifestazione davanti a Montecitorio per far sentire, nuovamente e con ancora più forza, la loro voce. Perché, nonostante le loro grida siano forti ed insistenti, la situazione è ancora tutta in via di definizione e il futuro di questi ragazzi rimane nebuloso. Ragazzi giovani, alcuni dei quali per quel concorso, per inseguire il sogno della divisa, hanno anche lasciato il lavoro e adesso sono in attesa di un’assunzione che è già in ritardo di diversi mesi. Ma loro non si danno per vinti e proseguono la loro battaglia, che di per sé è una battaglia assurda, dato che loro il diritto ad essere assunti dalla Polizia se lo sono guadagnato e, come ha urlato forte una ragazza nel corso della protesta davanti alla Camera dei Deputati, non dovrebbero “elemosinare alcuna concessione”, come nessuna attenzione da parte della politica, una politica che finora li ha traditi e lasciati in mezzo a una strada.

    Ma facciamo un passo indietro e ripercorriamo le principali tappe di questa storia vergognosa che ha portato centinaia di ragazzi e ragazze a ritrovarsi bloccati in una condizione di incertezza e, di fatto, stasi. Correva l’anno 2017 e il 26 di maggio veniva pubblicato in Gazzetta Ufficiale un concorso pubblico per il reclutamento di 1.148 allievi agenti della Polizia di Stato, il primo che avrebbe portato a nuove assunzioni dal 1996. Tale concorso, come qualsiasi altro, andava a prevedere dei requisiti per la partecipazione: esso era in sostanza aperto ai cittadini italiani con un’età compresa tra i 18 e i 30 anni in possesso del diploma di scuola secondaria di I grado o titolo equipollente (quindi la licenzia media). Dopo essersi svolto, il concorso ha portato alla formazione di una graduatoria a scorrimento, dalla quale l’amministrazione avrebbe appunto dovuto attingere per le future assunzioni. Sempre nel maggio 2017, però, l’allora esecutivo guidato da Paolo Gentiloni, nella persona del ministro per la pubblica amministrazione Marianna Madia, ha deciso di cambiare i requisiti di accesso alla carriera di agente di Polizia, abbassando la soglia di età massima da 30 a 26 anni e alzando il titolo di studio dalla licenza media al diploma di scuola secondaria superiore. Una decisione che, però, non voleva applicarsi ai concorsi già banditi con requisiti diversi o in corso di svolgimento, come nel caso di quello per 1.148 nuovi allievi; tanto che, a novembre 2018, sono stati reclutati 459 allievi agenti attingendo da quella graduatoria.  Due anni più tardi dallo svolgimento di quel concorso, però, nel febbraio 2019, la Lega di Matteo Salvini, al tempo ministro degli Interni del (fu) governo giallo-verde, con un emendamento al Decreto Semplificazioni ha stabilito che per le nuove assunzioni in Polizia, con l’obiettivo di abbassare l’età media degli agenti, si sarebbe dovuto procedere tenendo conto dei nuovi requisiti di età e titolo di studio decisi dal governo Gentiloni.

    L’approvazione del Decreto Semplificazioni, poi convertito nella legge n°12 11-02-2019, ha dunque fatto precipitare centinaia di persone in una situazione che definire kafkiana è solo un eufemismo: quel decreto, infatti, ha rappresentato una vera e propria ghigliottina caduta sulla testa di centinaia di persone che, risultando idonee dopo lo svolgimento del concorso, erano state inserite in graduatoria e attendevano soltanto le prove di idoneità fisica e l’immissione in ruolo per poter vestire la loro divisa di poliziotti, e invece si sono trovate escluse perché non più in possesso dei necessari requisiti.

    Nei confronti dell’ex ministro dell’Interno leghista, comunque, il risentimento di queste persone è palese: “Salvini in quei mesi di governo ha solo fatto campagna elettorale – si sfogano gli “aspiranti” allievi agenti della Polizia di Stato – con la divisa addosso, peraltro, quella che noi sogniamo di indossare presto, visto che è un nostro diritto. E ha firmato un decreto come si firma qualsiasi altro atto d’ufficio, non rendendosi conto che stava commettendo un’enorme scorrettezza nei confronti di quelle persone di cui, nel frattempo, osannava il lavoro, la dedizione e l’impegno. Cioè le forze dell’ordine”.

    Il ricorso al Tar del Lazio: l’inizio della battaglia legale

    A seguito del crearsi di questa situazione surreale per effetto del “decreto-tagliola” i candidati hanno deciso di agire per vie legali al fine di ottenere giustizia, presentando ricorso amministrativo al Tar del Lazio. Grazie a questo ricorso – le cui spese, naturalmente, sono tutte a carico dei ricorrenti – alcuni sono stati ammessi in via cautelare allo svolgimento delle successive prove di selezione e, a seguito di queste, 455 candidati hanno conseguito l’idoneità. Ma si tratta di un’idoneità con riserva e, nonostante le ordinanze sia del Tar del Lazio che del Consiglio di Stato in sede cautelare abbiano ammesso queste 455 persone ai corsi di formazione iniziati lo scorso agosto, l’amministrazione non li ha ancora reclutati per frequentarli. La richiesta della giustizia amministrativa, quindi, non è stata ottemperata e questo è il motivo per cui gli idonei con riserva continuano la loro battaglia cercando ora (anche) una soluzione politica al loro particolarissimo caso.

    D’altronde ad alzare ancora di più il livello della rabbia e della frustrazione di queste persone c’è il fatto che, in quella graduatoria, proprio per via dell’abbassamento dei requisiti di età da 30 a 26 anni, i candidati che hanno realizzato punteggi più alti (tra 9,5 e 8, 75) si sono visti superare da chi ha invece ottenuto un punteggio più basso; ma, per via di un mero requisito anagrafico – e sottolineiamo che, per alcuni candidati, si parla solo di pochi mesi di differenza di età rispetto ai nuovi “paletti” – alcuni oggi sono rimasti solo degli “idonei con riserva”, mentre altri si sono ritrovati completamente esclusi da quella graduatoria. Come, ad esempio, i militari già idonei al servizio: il concorso del 2017, infatti, riservava una quota di posti a militari in servizio e militari in congedo che, però, non sono stati nemmeno presi in considerazione per quanto riguarda lo scorrimento e, dunque, le nuove assunzioni.

    La data tanto attesa dai ricorrenti, attualmente, è il 3 aprile 2020, giorno in cui arriverà la sentenza del Tar per quanto riguarda la situazione dei 455 idonei con riserva. Nel frattempo, però, accanto alla battaglia nelle sedi giurisdizionali ne è iniziata un’altra al fine di ricercare una soluzione politica a questa intricata vicenda. L’idoneità conquistata da questi 455 ragazzi, d’altronde, non è eterna, ma ha una scadenza ben precisa: giugno 2020. Dopo questa data, quindi, è necessario per i candidati rieffettuare tutte le visite e, ci hanno spiegato, il rinnovo di quella idoneità non è affatto scontata: la vista cala fisiologicamente e, dopo tutti questi mesi, “potremmo anche non vederci più riconosciuta l’idoneità psicologica”.

    La battaglia degli allievi agenti della Polizia di Stato: la ricerca di una soluzione politica (mai arrivata)

    Quindi c’è tutto l’interesse, dato anche il forte ritardo delle assunzioni, per premere sul pedale dell’acceleratore: i ricorrenti hanno infatti cercato l’appoggio di alcuni parlamentari in seno alla nuova maggioranza Pd-M5s (come Emanuele Fiano e Matteo Richetti del Pd), al fine di riuscire a far inserire in legge di Bilancio 2020 un emendamento che sanasse la situazione. Purtroppo, però, quegli emendamenti sono stati respinti e, ad oggi, un ultima speranza è il decreto Mille-proroghe: un emendamento presentato dal M5s, che vede tra i suoi firmatari parlamentari come Anna Macina, Maurizio Cattoi e Leonardo Donno, se votato a maggioranza autorizzerebbe l’assunzione dei 455 candidati. Se non fosse che, nonostante la loro battaglia non abbia mai smesso di andare avanti e la presenza in piazza a Montecitorio dei senatori Tiziana Drago (M5s) e Dario Damiani (Forza Italia), questi giovani continuano a ricevere risposte davvero poco soddisfacenti dagli istituzionali palazzi romani: a seguito della manifestazione – e dopo una serie di appelli al nuovo ministro degli Interni Luciana Lamorgese – una delegazione di questi candidati idonei con riserva è stata ricevuta dal sottosegretario Vito Crimi, il quale ha nuovamente deluso le loro aspettative. Il viceministro del M5s ha infatti risposto alle richieste dei ricorrenti sostenendo che, come ci riferiscono alcune fonti che preferiscono rimanere anonime, “il governo al momento non ha alcuna intenzione di invitare l’amministrazione ad ottemperare alle ordinanze di Tar e Consiglio di Stato, procedendo quindi con le assunzioni”.

    “Nel caso in cui – ci raccontano – il giorno della sentenza di merito venga sollevata la questione di costituzionalità (e solo in quel caso) il governo provvederà ad emanare un decreto urgente per assumerci e, quindi, regolarizzare la nostra posizione una volta per tutte. Ciò significa che, quindi, solo nel momento in cui il governo si rende conto che sta per “perdere”, si giocherà la carta dell’assunzione per uscirne “pulito””. Dopo aver sentito queste parole la delegazione ha parlato di ricorso alla Corte europea: in effetti è possibile per i ricorrenti, a questo punto, anche adire la Corte di Giustizia per inottemperanza da parte dell’amministrazione della sentenza del giudice del Tar. “Adesso un’ultima chance è in mano al Pd, il quale potrebbe votare favorevolmente un emendamento presentato dal M5s per sanare la nostra situazione. È dunque l’ennesima giornata risolta con un nulla di fatto, visto che la maggioranza, attraverso le parole del sottosegretario Vito Crimi, ha palesato la sua non volontà di trovare una soluzione politica a questa situazione”.

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