Leggi TPI direttamente dalla nostra app: facile, veloce e senza pubblicità
Installa
Menu
  • Cronaca
  • Home » Cronaca

    Perché Arcelor Mittal si è tirata indietro sull’acquisizione dell’Ilva

    Credits: Flickr
    Di Madi Ferrucci
    Pubblicato il 4 Nov. 2019 alle 17:25 Aggiornato il 18 Nov. 2019 alle 16:27

    Perché Arcelor Mittal si è tirata indietro sull’acquisizione dell’Ilva

    Arcelor Mittal il 4 novembre ha notificato ai commissari straordinari e ai sindacati dei lavoratori dell’ex Ilva la sua volontà di rescindere il contratto di affitto delle acciaierie che era stato sottoscritto il 31 ottobre 2018 con la proposta di un nuovo piano ambientale per risanare l’azienda. Nel maggio 2021 il contratto di affitto del polo Ilva si sarebbe trasformato definitivamente in acquisizione, entrando a far parte del consorzio InvestCo Italy (il colosso partecipato per il 94,4 per cento da ArcelorMittal e per il 5,6 per cento dal gruppo Intesa Sanpaolo). Oltre all’acciaieria di Taranto Arcelor Mittal avrebbe inglobato anche gli insediamenti di Novi Ligure e di Cornigliano.

    Una decisione che i sindacati hanno definito una “bomba sociale”: da oggi partono i 25 giorni entro cui lavoratori e impianti ex Ilva torneranno in amministrazione straordinaria. Migliaia di posti di lavoro sono a rischio, il governo è in fibrillazione e poco dopo l’annuncio di Arcelor Mittal è iniziato un vertice di urgenza al Mise tra il ministro dello Sviluppo economico Stefano Patuanelli, il ministro del Sud Giuseppe Luciano Provenzano, e il ministro dell’Ambiente Sergio Costa per scongiurare la chiusura dello stabilimento.

    La questione dell’immunità penale

    Le cause di questo addio di Arcelor Mittal possono essere molteplici. Anzitutto c’è la questione dell’immunità penale, come riferisce la stessa azienda in una nota: “L’eliminazione della ‘protezione legale’ dal 3 novembre necessaria alla società per attuare il suo piano ambientale senza il rischio di responsabilità penale, giustificano la comunicazione di recesso”, scrivono i vertici del consorzio.

    Il 26 giugno scorso Arcelor Mittal ha infatti minacciato che Taranto sarebbe stata chiusa a settembre se fosse stata eliminata l’immunità penale per i vertici dell’azienda.

    L’abolizione dell’immunità voluta da decreto “non garantisce l’operare del management, in assenza di protezione legale”, comunicava la multinazionale. Nello stesso periodo l’azienda ha disposto 13 settimane di cassa integrazione per 1395 dipendenti a partire da luglio. Da allora si sono susseguiti diversi tavoli di trattativa tra il governo, i sindacati e l’azienda per riuscire a trovare un compromesso.

    Il 6 agosto infatti a due giorni dall’apertura della crisi di governo da parte di Matteo Salvini, il Consiglio dei Ministri aveva approvato una norma sulle crisi aziendali da inserire all’interno del Decreto imprese, che limitava l’immunità penale senza abolirla del tutto. Arcelor Mittal veniva privata della possibilità di un’immunità totale e veniva introdotto un piano di tutele legali “a scadenza” vincolato al rispetto del piano ambientale per la messa in sicurezza dello stabilimento.

    Solo se l’azienda avesse rispettato i tempi, i criteri e le modalità di esecuzione del piano ambientale avrebbe potuto usufruire delle tutele. Veniva invece confermata la responsabilità in sede penale, civile e amministrativa derivante dalla violazione di norme poste a tutela della salute e della sicurezza dei lavoratori.

    La versione “soft” del Decreto imprese fu il risultato di un compromesso raggiunto dalla Lega e dai Cinque Stelle ma con l’insediamento del nuovo governo Pd-M5S i pentastellati avevano ripreso l’attacco alla norma. In conseguenza di questa “nuova linea” politica del governo dal testo del decreto approvato in Senato il 23 ottobre era stato eliminato anche quest’ultimo scudo legale per i vertici dell’ex Ilva.

    Il 31 ottobre il cosiddetto “Decreto legge imprese” è stato approvato alla Camera con 259 voti favorevoli, 124 contrari e un astenuto. Nel testo approvato è stato soppresso proprio l’articolo 14 del decreto inserito in agosto, che escludeva la responsabilità penale e amministrativa del commissario straordinario, dell’affittuario o acquirente dell’Ilva di Taranto “in relazione alle condotte poste in essere in attuazione del Piano ambientale”.

    “Con l’ok definitivo, la maggioranza ha scelto di bilanciare per Taranto i diritti alla salute, all’ambiente e al lavoro”, aveva esultato il deputato Giovanni Vianello (M5s) della commissione Ambiente.

    Quattro giorni dopo la perdita dell'”immunità”, Arcelor Mittal ha annunciato di volersi sfilare dall’accordo su Ilva e di non essere più interessato alla sua acquisizione. I vertici di Arcelor Mittal dunque temendo di essere penalmente perseguiti potrebbero aver deciso di evitare il rischio di condanne lasciando Ilva al suo destino.

    Il problema dell’Altoforno 2

    Il 9 luglio scorso la procura di Taranto aveva stabilito la chiusura dell’altoforno 2, perché l’azienda proprietaria dell’acciaieria non aveva applicato correttamente il suo piano di “messa in sicurezza”. Le motivazioni della decisione erano legate in particolare alla morte dell’operaio di 35 anni Alessandro Morricella, che l’8 giugno 2015 fu ucciso proprio da un getto di ghisa dell’altoforno 2.

    La procedura di sequestro sarebbe dovuta scattare immediatamente dopo l’incidente ma un decreto del governo allora in carica riuscì a bloccarla, concedendo la facoltà d’uso dell’altoforno.

    L’azienda in risposta aveva presentato un piano di messa in sicurezza ma il gip a luglio ha ritenuto che non fosse stato messo in atto correttamente e per questo aveva deciso di procedere alla chiusura. Il 31 luglio il giudice Francesco Maccagnano aveva ribadito la necessità della chiusura dell’altoforno rifiutando la richiesta dei commissari straordinari dello stabilimento che volevano continuare a utilizzarlo.

    Contro questa decisione Arcelor Mittal aveva poi presentato due istanze d’appello e alla fine il 20 settembre il Tribunale del Riesame di Taranto aveva accordato al consorzio la possibilità di usare l’altoforno con la clausola che fosse messo in sicurezza entro tre mesi. La decisione aveva scongiurato la chiusura prevista per il 10 ottobre.

    Arcelor Mittal ad oggi non sembra però credere che sia possibile il rispetto di questa scadenza.”I provvedimenti emessi dal Tribunale penale di Taranto obbligano i Commissari straordinari di Ilva a completare talune prescrizioni entro il 13 dicembre 2019 pena lo spegnimento dell’altoforno numero 2 che renderebbe impossibile attuare il suo piano industriale, e, in generale, eseguire il contratto”, scrive il consorzio industriale nella nota del 4 novembre in cui spiega le motivazioni per cui ha deciso di non procedere all’acquisizione di Ilva.

    L’immunità penale e la questione dello spegnimento dell’altoforno 2 sono strettamente legate: il Tribunale di Taranto infatti nel luglio scorso aveva stabilito la chiusura dell’altoforno perché l’azienda non era stata in grado di mettere in atto un piano ambientale adeguato di messa in sicurezza entro i tempi previsti.

    Qualora queste violazioni dovessero andare avanti i vertici di Arcelor Mittal potrebbero subire delle conseguenze e lo Stato potrebbe decidere di aprire un contenzioso.

    La scarsa sicurezza sul posto di lavoro continua infatti a essere un pericolo per tutti gli operai dell’azienda. A gennaio 2019 la Corte Europea dei Diritti dell’Uomo di Strasburgo ha inoltre emesso una sentenza favorevole al ricorso presentato da 182 cittadini di Taranto contro lo Stato italiano sui danni prodotti dall’azienda negli ultimi decenni.

    Il costo del lavoro e l’aumento delle perdite dovute ai dazi Usa

    La terza ragione potrebbe riguardare il costo del lavoro. Una volta effettuata l’acquisizione e completato il piano industriale, gli oltre 10mila dipendenti dell’Ilva che in questo momento hanno un contratto a tempo determinato con Arcelor Mittal, sarebbero dovuti diventare dipendenti a tempo indeterminato. L’azienda a fine giugno aveva invece deciso di mettere in cassa integrazione altri 1.400 dipendenti da luglio fino a fine dicembre, segno che probabilmente la volontà di stabilizzare i lavoratori non era del tutto certa. Anche da questo punto di vista quindi il consorzio non stava rispettando il piano industriale di assunzioni previsto e nell’ultimo anno aveva già diminuito la produzione di acciaio di 1,5 tonnellate.

    Il 25 ottobre durante un incontro informale l’Ad Lucia Morselli di Arcelor Mittal ha messo a conoscenza il ministro Patuanelli della situazione economica dell’azienda: 150 milioni di perdite ogni trimestre, e una produzione di 4,5 milioni di tonnellate d’acciaio entro fine dicembre (circa 1,5 milioni di tonnellate in meno rispetto a quanto previsto dal piano industriale). Le perdite calcolate inoltre sarebbero in crescita secondo l’Ad anche a causa dei nuovi dazi imposti dagli Usa.

    Il caso Ilva di Taranto: un riassunto della vicenda
    Leggi l'articolo originale su TPI.it
    Mostra tutto
    Exit mobile version