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    “In Africa prigione o morte per chi è gay”, l’inferno dei migranti Lgbt

    Di Gabriele d'Angelo
    Pubblicato il 14 Giu. 2019 alle 16:06 Aggiornato il 11 Set. 2019 alle 02:35

     

    Migranti Lgbt – Jandi (nome di fantasia) ha 31 anni, una camicia a fiori e un sorriso malinconico. Accetta di parlarci solo con voce camuffata e senza comparire in volto. Teme ancora per la sua sicurezza. È scappato tre anni fa dalla Nigeria, dove la sua omosessualità è ancora ritenuta un crimine: “Se ti scoprono puoi farti anche 14 anni di prigione”, racconta a TPI.

    Jandi è solo uno dei tanti migranti Lgbt che chiedono sostegno e assistenza legale al Gay Center di Roma. “Per la maggior parte vengono dalla Nigeria, ma anche da Senegal, Ghana, Camerun, e in generale dall’Africa occidentale ed equatoriale”, spiega Giacomo Pasquino, volontario dell’apposito Gruppo Intercultura, che un paio di volte al mese si riunisce per monitorare la situazione dei ragazzi. “Scappano dalla persecuzione, dalla discriminazione, anche dalla violenza fisica, dalla morte”.

    Quella morte che lo stesso Jandi ha ancora impressa negli occhi, da quando alcuni ‘amici’ picchiarono il suo ragazzo fino a togliergli anche l’ultimo respiro. Fu quello l’episodio che lo convinse a fuggire dal suo paese, senza più voltarsi.

    Migranti Lgbt – Voce rotta dall’emozione, lo sguardo fisso nel vuoto. Jandi lo ricorda ancora nei minimi dettagli. Per prima cosa, arrivò il ricatto: “Ci dimenticammo di chiudere la porta, e uno di loro entrò e ci vide nudi nel nostro letto. Ci disse che se non lo avessimo pagato avrebbe spifferato tutto al governo. Così decidemmo di dargli quel che voleva”. Ma non bastò: “Cominciarono a dirci che non pagavamo abbastanza. Scoppiò una lite. Uno di loro prese in mano una bottiglia di vetro e la spaccò in testa al mio ragazzo”. Morì pochi giorni dopo in ospedale.

    Una delle tante vittime mietute ogni anno dall’omofobia in Africa. Dove, in una dozzina di paesi, la Sharia (la legge divina) impone ancora la lapidazione o la condanna a morte per gli omosessuali.

    Un’orrore dal quale Jandi è riuscito a fuggire, e che sta pian piano riuscendo a dimenticare anche grazie all’aiuto dei volontari del Gay Center romano: “Quando tu sei migrante e sei lgbt sei doppiamente discriminato, sei doppiamente vittima. Ecco perché facciamo questo lavoro: per provare a creare una una saldatura tra due realtà che, anche in Italia, da sole se la passano molto male da sole. Ma che unendosi, forse, potranno diventare molto più forti”.

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