Leggi TPI direttamente dalla nostra app: facile, veloce e senza pubblicità
Installa
Menu
  • Cronaca
  • Home » Cronaca

    Il lavoro, la famiglia, l’incidente: chi era veramente “Mario”, primo italiano a ottenere il suicidio assistito

    Di Marta Vigneri
    Pubblicato il 16 Giu. 2022 alle 14:36 Aggiornato il 16 Giu. 2022 alle 14:37

    Il vero nome di Mario, il 44enne che si è spento oggi tramite suicidio medicalmente assistito, era Federico Carboni. Solo dopo la sua morte, avvenuta nella mattina del 16 giugno, l’Associazione Luca Coscioni ha rivelato la sua identità. Carboni è stata la prima persona in Italia a ottenere il suicidio assistito dopo la battaglia legale condotta insieme all’Associazione. Prima del tragico indicente che lo ha paralizzato 12 anni fa faceva il camionista. Amava le moto e la strada, ma proprio su quella strada è avvenuto lo schianto da cui credeva di non potersi riprendere mai più. Negli ultimi 12 anni invece è riuscito a vivere grazie all’assistenza della madre, con cui abitava in una casa sul mare a Senigallia. Il padre è morto nel 2015. L’abitazione non aveva barriere e disponeva di un giardino proprio per permettere a Federico Carboni di vivere più serenamente. Ma nelle ultime fasi della convalescenza andare avanti era diventato troppo difficile, come raccontato da Federico stesso nell’ultima lettera, scritta qualche settimana fa.

    Ho fatto tutto il possibile per riuscire a vivere il meglio possibile e cercare di recuperare il massimo dalla mia disabilità – ha scritto – ma ormai sono allo stremo sia mentale sia fisico. Posso dire che da quando a febbraio ho ricevuto l’ultimo parere positivo sul farmaco ci sto pensando più e più volte al giorno se sono sicuro di quanto andrò a fare, perché so che premendo quel bottone sarà un addormentarsi chiudendo gli occhi senza più ritorno, ma pensando ogni giorno, appena sveglio fino alla sera quando mi addormento, come vivo e passo le mie giornate e rimandare cosa mi cambierebbe? Niente: sarebbe solo rimandare dolori, sofferenze, non ho un minimo di autonomia della vita quotidiana, sono in balìa degli eventi, dipendo dagli altri su tutto, sono come una barca alla deriva nell’oceano. Sono consapevole delle mie condizioni fisiche e delle prospettive future quindi sono totalmente sereno e tranquillo di quanto farò”. L’iniezione letale è avvenuta sul letto di ospedale dove era assistito dalla madre e da due infermieri. “Ora sono libero di volare”, scriveva ancora nella lettera. “Con l’Associazione Luca Coscioni ci siamo difesi attaccando e abbiamo attaccato difendendoci, abbiamo fatto giurisprudenza e un pezzetto di storia nel nostro paese e sono orgoglioso e onorato di essere stato al vostro fianco. Ora finalmente sono libero di volare dove voglio”.

     

    Leggi l'articolo originale su TPI.it
    Mostra tutto
    Exit mobile version