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    I disastri climatici uccidono l’arte: in Italia 28mila siti culturali in pericolo

    Il riscaldamento globale sta distruggendo il patrimonio artistico del nostro Paese. Nel disinteresse generale della classe politica

    Di Sara Dellabella
    Pubblicato il 12 Nov. 2021 alle 07:04

    Dalla Basilica di San Marco a Venezia, passando per Roma, Napoli, arrivando fino alla Valle dei Templi di Agrigento, si allunga di giorno in giorno la lista dei luoghi d’Italia colpiti da fenomeni meteorologici sempre più intensi e pericolosi. Sia per la popolazione che per i beni artistici e culturali. Così come decine di borghi rischiano di scomparire a causa del dissesto idrogeologico.

    Qualche esempio? Volterra, in provincia di Pisa, Civita di Bagnoregio, nel Viterbese, ribattezzata “la città che muore”, la Rupe di San Leo, in provincia di Rimini, e la chiesa di San Pietro a Roccascalegna, a una cinquantina di chilometri da Chieti.

    Per anni abbiamo pensato che i cambiamenti climatici fossero qualcosa che non riguardasse in prima persona noi italiani. Greta Thunberg e la Cop26 di Glasgow hanno acceso i riflettori, ma ora che il riscaldamento globale sta lasciando segni tangibili sul patrimonio artistico italiano la questione si fa, se possibile, ancora più seria. L’allagamento della zona archeologica del tempio di Apollo a Siracusa, causato dalle forti piogge che si sono abbattute a fine ottobre sulla Sicilia, è solo l’ultima pagina di una storia che vede sempre più pezzi del nostro patrimonio culturale messi in pericolo da eventi climatici estremi.

    E ora uno studio congiunto Ispra-Iscr (rispettivamente Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale e Istituto superiore per la conservazione e il restauro) mette a fuoco la situazione denunciando che sono più di 28mila i siti culturali esposti ad alluvione. Solo nel Comune di Roma i beni immobili esposti sono 2.204, molti dei quali situati nella zona tra Pantheon, piazza Navona e piazza del Popolo.

    A Firenze sono 1.145 e comprendono il Battistero, la Biblioteca Nazionale e la Cattedrale di Santa Croce. «Quelli che una volta erano eventi estremi, come l’alluvione di Firenze e Venezia del 1966, che si verificavano ogni cento anni, oggi sono diventati decennali o addirittura annuali: questo è il vero problema, oltre al fatto che abbiamo un territorio molto fragile», fa notare a TPI il geologo e divulgatore Mario Tozzi.

    Nell’ottobre 2015 le abbondanti precipitazioni hanno provocato danni al mosaico del pavimento della domus di Giulio Polibio, negli scavi archeologici di Pompei. Un anno più tardi, a Roma, le piogge hanno provocato il distacco di una parte delle Mura Aureliane.

    A fine 2018 un nubifragio ha causato il distacco di un capitello della Reggia di Caserta.

    Nell’agosto 2019 a Chieri, in provincia di Torino, il forte vento ha causato la caduta della ciminiera di Vajro, sede del Museo del Tessile, e di un pezzo del campanile della chiesa di San Domenico. Andando più indietro, nel gennaio 2013, cinque ettari del Parco archeologico di Sibari, nel Cosentino, sono finiti sott’acqua a causa dell’esondazione del fiume Crati: ci sono voluti tre anni e un finanziamento da 18 milioni di euro per restituire al pubblico una delle più preziose testimonianze della Magna Grecia nel nostro Paese.

    Per non parlare della Basilica di San Marco a Venezia, che rimane la grande sorvegliata speciale: qui l’acqua alta nel novembre 2019 ha pesantemente danneggiato pavimenti e mosaici e il salso dell’acqua della laguna ha corroso alcune colonne. A due anni di distanza, nonostante una sequela infinita di dichiarazioni e buoni propositi, nulla è stato fatto per mettere in sicurezza uno dei simboli della laguna.

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