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    Delitto Macchi, assolto Stefano Binda: l’assassino di Lidia non ha ancora un volto

    Lidia Macchi e Stefano Binda

    Ribaltata in appello la sentenza di primo grado

    Di Maria Teresa Camarda
    Pubblicato il 25 Lug. 2019 alle 08:46 Aggiornato il 25 Lug. 2019 alle 11:01

    Delitto Macchi, Stefano Binda assolto | Ultime notizie

    Sentenza choc al processo per il delitto Macchi, Stefano Binda è stato assolto. La Corte d’Assise d’Appello di Milano ha ribaltato la sentenza di primo grado per l’omicidio della ventunenne Lidia Macchi, avvenuto nel 1987 a Cittiglio, e ha cancellato l’ergastolo inflitto al 51enne imputato per il delitto.

    L’uomo, arrestato il 15 gennaio 2016, dopo circa tre anni e mezzo di carcere quindi esce di cella. Ad accoglierlo, come racconta il Corriere della Sera, c’è la sorella Patrizia Binda, 55 anni. “Sì mamma, sì, è tutto vero: l’hanno assolto! Assolto! Adesso te lo riporto a casa”, dice parlando al telefono con la madre subito dopo la nuova sentenza.

    > La storia dell’omicidio di Lidia Macchi, la ricostruzione

    La lettera al centro del processo

    Binda si è sempre dichiarato innocente. Fino alla mattina della sentenza ha sostenuto la sua convinzione.

    “Non ho ucciso io Lidia Macchi, sono innocente, estraneo a tutta la vicenda”, ha detto questa mattina Stefano Binda rendendo dichiarazioni spontanee.

    Binda era stato compagno di liceo di Lidia e come lei militante di Comunione e Liberazione.

    “In quel periodo però – ha aggiunto, parlando dei giorni dell’omicidio – ero a Pragelato (una località delle Alpi piemontesi, ndr) e non ho mai scritto la lettera”. Binda parla del componimento ‘In morte di un’amica’, consegnato via posta il giorno del funerale alla famiglia della vittima. Lettera che, secondo la ricostruzione dell’accusa, fu invece scritta da Binda e che è stata considerata la prova regina contro di lui.

    “Il poeta anonimo – ha detto nella requisitoria il sostituto pg Gemma Gualdi – è certamente Stefano Binda, che ha scritto quella lettera perché ha vissuto i fatti descritti”, vale a dire l’assassinio della 21enne. E ancora, per Gualdi, il componimento è stato vergato su un foglio che “proviene da un quaderno sequestrato a casa sua, fatto quest’ultimo ammesso dallo stesso imputato”.

    È “inutilizzabile”, invece, la testimonianza resa la scorsa udienza dal penalista bresciano Piergiorgio Vittorini, che ha raccontato che nel 2017 un suo cliente, di cui non ha voluto rivelare l’identità, gli avrebbe detto di essere l’autore della missiva.

    Delitto Macchi, l’omicidio senza colpevole

    Il sostituto pg ha sostenuto che il presunto killer avrebbe incontrato Lidia la sera del 5 gennaio 1987: Binda sarebbe salito in macchina con la ragazza e insieme avrebbero raggiunto il campo, non molto distante dall’ospedale dove Lidia fu ritrovata senza vita. Come ha ricostruito Gualdi, l’imputato l’avrebbe stuprata prima di ucciderla.

    A oltre trent’anni dal delitto, quindi rimane senza un nome e un volto l’assassino della ventunenne, stuprata e poi massacrata con 29 coltellate in un bosco del Varesotto in una notte in pieno inverno.

    “Credo che servisse un minimo di approfondimento in più. Forse è stata una sentenza affrettata”, ha commentato Stefania, la sorella della giovane vittima. Scontato il ricorso del suo legale, l’avvocato Daniele Pizzi.

    “Quindici giorni e tre udienze sono troppo pochi per emettere un verdetto – ha spiegato l’avvocato – questa sentenza è stata la trentesima coltellata inferta a Lidia”.

    Un dolore che si rinnova, ma che non può avere fine. “Lidia non ce la restituisce nessuno, così come questi trent’anni senza di lei”.

    La voglia di giustizia e di verità rimane intatta. Stefania ha chiesto allora che venga fatta luce sul responsabile di quel brutale assassinio. “Chiunque vorrebbe sapere che cosa è accaduto quella notte”, ha detto.

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