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    Dacia Maraini: “Sul corpo di Silvia Romano stanno combattendo lo scontro di civiltà”

    Silvia Romano e Dacia Maraini. Credit: Ansa
    Di Clarissa Valia
    Pubblicato il 13 Mag. 2020 alle 08:19 Aggiornato il 13 Mag. 2020 alle 08:20

    Dacia Maraini difende Silvia Romano: “So cosa si prova”

    “È un errore enorme trasformare Silvia Romano in un mostro, guardando al suo corpo come se si trattasse del terreno sul quale combattere lo scontro di civiltà. […] Non le perdonano che non odi i suoi carcerieri. È un fatto che li scandalizza. Perché loro odiano tutto, forse pure se stessi. Così si precipitano all’attacco, anche vile”. Con queste parole la scrittrice Dacia Maraini difende Silvia Romano dalla valanga di commenti e insulti d’odio che l’hanno travolta al suo rientro in Italia.

    La volontaria rapita in Kenya e liberata venerdì scorso in Somalia dopo 18 mesi di prigionia nelle mani dei fondamentalisti islamici somali di al-Shabaab si è convertita all’Islam ed è scesa dall’aereo di Stato che l’ha riportata a casa indossando una lunga tunica verde salvia: “Chi attacca Silvia per il vestito che indossa, giudicandola per la scelta religiosa che ha fatto, è privo di immaginazione. Non riesce nemmeno a sospettare cosa significhi stare nelle mani di criminali che ti considerano un oggetto che si dà in cambio di denaro. Dimostra di essere incapace di mettersi nei suoi panni. Comprendere come la fede, sebbene islamica, abbia potuto essere uno strumento al quale lei si è disperatamente aggrappata per uscirne viva, per trovare la forza di andare avanti”, afferma Dacia Maraini nell’intervista di Nicola Mirenzi per l’Huffpost.

    “Un bisogno di interiore di dare alla propria vita un respiro. Sentire la forza di un vento capace di farla volare via di lì. Fuggire dai propri aguzzini. Le hanno dato un Corano. Lo ha letto. Dice che in quelle parole ha incontrato la fede. Chi siamo noi per condannarla? Credere è un atto d’amore. E l’amore è una creatura misteriosa, che irrompe in maniera imprevedibile. Non si può trattare come una colpa“, riflette la grandissima scrittrice italiana.

    Nessuno di noi ha il diritto di entrare nell’interiorità di Silvia e stabilire ciò che è vero e ciò che è falso. Nessuno di noi ha il diritto di pretendere che lei cancelli, nel giro di poche ore, ciò che dentro di lei è successo in questi mesi, assumendo questa forma. È una scelta intima. Non la possiamo discutere noi, pubblicamente”, continua.

    Non si può essere liberi, nemmeno spiritualmente, quando si è nelle mani dei propri carcerieri. Io non lo ero. Provi una tale condizione di terrore, angoscia, provvisorietà, che non c’è bisogno che nessuno ti ordini nulla per obbedire. Silvia è stata in questa condizione per mesi. Non sapeva cosa avrebbero fatto di lei. Se l’avrebbero uccisa, picchiata, oppure stuprata. La religione può esserle apparsa come una salvezza. L’unica che aveva”, spiega Dacia Maraini che ha vissuto la drammatica esperienza della prigionia sulla sua pelle. “Sono stata prigioniera anche io, per due anni, in un campo di concentramento giapponese”, racconta la scrittrice.

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