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    Roma, attivisti del diritto alla casa a TPI: “Anche gli spazi di riqualificazione a rischio sgombero”

    L'occupazione di viale delle Province 196, a Roma. Credit: Anna Ditta

    Sabato 22 giugno 2019 è in programma il corteo in difesa degli spazi sociali a Roma. Intervista a Umberto Antonazzi dei Blocchi precari metropolitani (Bpm)

    Di Anna Ditta
    Pubblicato il 17 Giu. 2019 alle 15:41

    Roma corteo contro gli sgomberi 22 giugno 2019 | Occupazione viale delle Province 196 Roma | Emergenza abitativa a Roma: i dati

    “Un percorso che nasce come opposizione agli sgomberi, ma che è andato oltre e ora parla a tutta la città, non solo al comune di Roma e al Viminale”. Umberto Antonazzi, attivista dei movimenti per il diritto all’abitare, spiega a TPI le ragioni dietro il corteo Roma non si chiude” che si terrà sabato 22 giugno alle 16, con partenza da piazza Vittorio.

    Roma corteo contro gli sgomberi 22 giugno 2019

    “Abbiamo creato una rete, una forza che speriamo riesca a convogliare tutto giorno 22. Vogliamo dare un segnale. Non si tratta di quattro disperati, ma di un pezzo di città che reclama l’inclusione”, dice Umberto a TPI.

    A organizzare il corteo sono più di 30 realtà tra centri sociali, movimenti per il diritto all’abitare e associazioni, che si sono date appuntamento a Roma contro la chiusura voluta dal ministero dell’Interno delle occupazioni, diventate negli anni importanti luoghi di aggregazione della Capitale.

    Umberto, portavoce dei Blocchi precari metropolitani (Bpm), parla dall’occupazione di viale delle Province, tra via Tiburtina e piazza Bologna, fino a qualche giorno fa in pole position nella lista dei 22 immobili da sgomberare con urgenza secondo il Viminale.

    Negli ultimi giorni, invece, sono considerate a rischio soprattutto le occupazioni di via Cardinal Capranica, a Primavalle, e di via del Caravaggio, a Tor Marancia, dove una settimana fa si è recato in visita l’assessore alla Casa della Regione Lazio, Massimiliano Valeriani. Entrambe dovrebbero essere sgomberate entro agosto.

    Roma, l’occupazione viale delle Province 196

    All’interno dei due stabili di viale delle Province 196, occupati nel 2012 durante lo Tsunami Tour dei movimenti per il diritto all’abitare, vivono italiani e stranieri, soprattutto sudamericani.

    Si tratta di 141 nuclei familiari, complessivamente circa 500 persone, tra cui un centinaio di bambini.

    Gli edifici, ex sede di uffici Inpdap, erano abbandonati da anni prima di essere occupati e ora sono passati sotto il controllo del Fondo Immobili Pubblici (FIP).

    Quella di viale delle Province è un’occupazione meticcia e integrata con il quartiere circostante, anche grazie al progetto “Mondo Piccolo“, la biblioteca che ospita centinaia di libri e giochi per bambini, ed è curata da Rafael, ex professore di liceo arrivato dal Venezuela nel 2014.

    La biblioteca oggi viene utilizzata anche da abitanti della zona e la sua creazione ha attirato l’attenzione anche di alcuni professori universitari.

    Grazie a questa iniziativa, l’occupazione di viale delle Province è diventata uno spazio dove è possibile incontrarsi e fare cultura, come altre realtà nella capitale, tra cui ad esempio Spin Time Labs.

    “Questi spazi, come le nostre occupazioni, sono a rischio sgombero”, dice Umberto. “Tutta questa parte di popolazione chiede la soddisfazione dei diritti alla casa, di poter mandare i bambini a scuola, ma anche il diritto a progettare la propria vita, e la biblioteca che noi abbiamo qui da un anno lo dimostra”.

    Emergenza abitativa a Roma | I dati

    A Roma sono 57mila i nuclei familiari che si trovano in sofferenza abitativa, vale a dire circa 200mila persone, secondo i dati Acer (Associazioni dei Costruttori Romani).

    Il numero è probabilmente arrotondato per difetto, dice Umberto, perché ci sono una serie di ricorrenti che non vengono neanche registrati: “Presumibilmente in termini di unità siamo anche a un numero superiore”, spiega.

    Anni fa la Regione Lazio aveva approvato un delibera che metteva a disposizione 40 milioni al Comune per far fronte all’emergenza abitativa.

    A luglio 2018, tuttavia, la regione ha ritirato questi fondi, perché il comune non aveva utilizzato i fondi stanziati.

    Sul piano operativo, infatti, l’assegnazione degli alloggi è una prerogativa del comune.

    “La Regione potrebbe, in base al suo patrimonio immobiliare, farlo da sé”, spiega Umberto. “Ma evidentemente non se l’è mai sentita di fare una forzatura istituzionale”.

    Il tavolo del comune con i movimenti per il diritto alla casa, intanto, è saltato. Le trattative si sono rotte proprio sulla questione delle graduatorie e dei cosidetti “illegali”.

    “L’Assessorato alle politiche abitative del comune di Roma ha posto una condizione rispetto alla quale non vuole arretrare di un passo: il discorso della legalità”, dice Umberto. “Gli occupanti sono illegali, per cui non possono porsi in essere delle graduatorie specifiche, quindi noi siamo fuori da ogni possibilità di assegnazione al momento”.

    La situazione politica a livello nazionale, adesso, non aiuta.

    “Questo governo per alcuni aspetti ha creato una situazione negativa, però c’è da dire che quelli che l’hanno preceduto hanno fatto cose pessime”, sostiene Umberto. “Ci sono delle responsabilità pregresse che vanno chiarite. A Roma tutti quelli che ci sono stati: centrodestra, centrosinistra e M5S, non hanno minimamente avuto la volontà politica di affrontare il problema dell’abitare, che è connesso al problema dell’accoglienza e dell’integrazione dei migranti”.

    Roma corteo sgomberi 22 giugno | Emergenza abitativa a Roma | Le possibili soluzioni

    “Allo stato attuale non c’è neanche un barlume di soluzione di alternativa sul piano dell’abitare”, dice il portavoce di Bpm. “Hanno proposto tutte soluzioni che sono dei palliativi, su cui fanno anche business, come i Sassat, che sono una soluzione temporanea di due anni con cui si aiutano i nuclei a essere autosufficienti, cioè ad avere un reddito per poter prendere in affitto un appartamento a Roma. Ma questa è proprio una presa in giro”.

    “In questo paese almeno da una decina anni, se non di più, il reddito che consente di affittare un appartamento a Roma è di oltre duemila euro. Chi lo trova un lavoro così? I migranti? Ma parlo anche per me, non lo troverò mai”, sostiene Umberto. “Passati due anni, queste famiglie starebbero nelle stesse condizioni. In più c’è tutto un dispositivo di controllo che è anche umiliante, per cui bisogna rientrare in certi orari. Ma una famiglia ha diritto di vivere la propria vita”.

    Un’altra soluzione provvisoria proposta, invece, prevede di dividere le famiglie. “Le madri con i figli da una parte, i padri non si sa: possono stare pure per strada”, dice Umberto. “È inaccettabile quello che è successo col modello Carlo Felice, che ha mandato non solo i single, ma anche le coppie, nei centri di accoglienza. Molti sono scappati via, anche per situazioni igieniche inaccettabili”, aggiunge.

    Qual è allora la soluzione proposta dai movimenti per il diritto all’abitare?

    “Ci sono gli alloggi, ci sono i soldi, qual è il problema? La cattiva volontà politica? Gli interessi che ci sono dietro? Il discorso è complesso e non è solo legato alla città”, dichiara Umberto. “Abbiamo capito che dentro il governo della crisi ormai serve una parte di popolazione in condizione di povertà. Sono inutili le boutade istituzionali sul fatto di aver cancellato la povertà. Qui i dati dicono tutto l’opposto. Ci sono circa 6 milioni di persone, collocate soprattutto nel centro sud, che stanno sotto il livello di sussistenza”.

    “Qui non si tratta di emergenza, si tratta di un problema strutturale”, continua l’attivista. “Fermo restando che dentro questa dinamica è possibile comunque utilizzare dei margini di trattativa per evitare di trasformare questo processo inarrestabile – che le nostre forze non riescono ad arginare, perché è una questione globale – in una vera e propria bomba sociale”.

    “A Roma nelle occupazioni abitative ci sono quasi 20-25mila persone. Pensano di poter gestire una cosa del genere? Non mi pare, perché stanno facendo proclami da un anno e mezzo e ancora non ci riescono”, continua.

    “Anche nel loro campo ci sono delle divisioni: il Viminale spinge per una cosa, i municipi sono contrari e il comune adesso è in una situazione più fluida, perché si rende conto che sarebbe ingestibile. Parliamo di occupazioni con 500 persone al centro di Roma, integrate e inserite, con bambini che vanno a scuola”.

    La soluzione proposta dai movimenti per la casa è quindi di creare un tavolo con tutti gli attori (Regione, comuni, municipi, proprietà e movimenti per il diritto alla casa) per discutere della disponibilità a mettere sul campo gli alloggi necessari.

    I movimenti contestano anche il c.d. “criterio delle fragilità”: “Per noi fragilità significa esclusione sociale, non è solo il disabile, l’anziano. Tutti noi che siamo qui dentro siamo fragili, perché siamo quella parte di popolazione esclusa socialmente dai diritti fondamentali: il diritto ad avere una casa, al reddito, a usufruire dei servizi fondamentali come la sanità”.

    Qui sotto il blitz al Viminale di centri sociali e movimenti per la casa contro gli sgomberi, il 17 giugno 2019:

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