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    Massimo Giannini, racconto choc in tv: “In quei reparti Covid ho visto sofferenze atroci, anche di giovani”

    Di Lara Tomasetta
    Pubblicato il 28 Ott. 2020 alle 11:16

    “Adesso sto meglio, posso dire di essere stato fortunato, il peggio è alle spalle. È stata dura, perché effettivamente tre settimane – di cui sei giorni in terapia intensiva, quattro in sub intensiva e tre nel reparto “pulito sporco” – sono state un’avventura molto pesante. Ho visto tanto dolore, tanta sofferenza e tante persone morire e ho deciso di non nascondere questa esperienza perché la testimonianza di chi sta male conti più di tutti i dibattiti che stiamo ascoltando da tante tante settimane”.

    Sono le parole, fortissime, del direttore de La Stampa Massimo Giannini che ospite a Otto e mezzo da Lilli Gruber racconta la sua esperienze come malato Covid.

    Giannini prende la parola, e per qualche minuto la conduttrice e lo studio ammutoliscono, ascoltando il racconto del suo incubo. “Una condizione che non ho mai visto né mai sperimentato. La cosa che più mi ha colpito, e che rimarrà dentro di me e che tutti devono capire, è che anche i giovani stanno male”, esordisce Giannini.

    “Il primo è il livello pulito/sporco. Di fatto si è in isolamento in una stanza, con la porta chiusa che si apre solo quando i medici ti vengono a fare le analisi e gli operatori sanitari vengono a pulire la stanza. E poi basta”. Quindi passa alla testimonianza più toccante, il ciclo della “pronazione”: “Si viene sedati, un tubo entra fino ai bronchi, quindi si passano 16 ore proni, a pancia in giù, e 8 ore supini. Sempre assistiti da un rianimatore. Si devono ‘stirare’ i polmoni e si procede finché si migliora, e allora si viene estubati e si può dire di essere salvi, oppure si muore”.

    “Ho cercato di conoscere cosa succede in questi tre gironi danteschi – racconta ancora Giannini – a me è stato per fortuna risparmiato dalla sorte il quarto, il più tremendo, quello della rianimazione. Il reparto “pulito sporco” è quello dopo sono ricoverati i pazienti meno gravi, sono coloro che stanno chiusi nella loro stanza contagiati, positivi, non possono né uscire né aprire la porta. Quella porta si può aprire solo a orari prestabiliti durante la giornata quando arrivano i medici a fare i controlli, gli infermieri per distirbuire le terapie e gli operatori sanitari per pulire la stanza e rifare i letti, dopodiché entrano tutti bardati, si tolgono tutto, gettano tutto in appositi contenitori, richiudono la porta e tu non li vedi più fino alla fase successiva”.

    “La cosa che più mi ha colpito più di tutto è vedere quanti giovani stanno male – ha aggiunto il giornalista – quante persone ricoverate sono in condizioni gravi, e anche la procedura che non conoscevo, la pronazione, un’esperienza che tutti devono conoscere quando parlano del Covid come una semplice influenza, io per mia fortuna non l’ho provata, sono stato solo con l’ossigeno”.

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