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    “Mia madre ha rischiato la vita per i suoi pazienti. Ora ha il Covid e la sanità l’ha abbandonata: nemmeno il tampone le fanno”: la lettera disperata di una famiglia di Bergamo

    Corsie di ospedale Credits: Ansa

    Storia di una dottoressa di Bergamo che dopo aver curato centinaia di pazienti si è ammalata perché senza DPI adeguati: la denuncia a TPI

    Di Veronica Di Benedetto Montaccini
    Pubblicato il 14 Apr. 2020 alle 14:51 Aggiornato il 14 Apr. 2020 alle 14:54

    Elenia Camerini vive con sua madre e suo fratello a San Giovanni Bianco, in una delle aree più colpite dal Coronavirus della provincia di Bergamo e la loro storia ha dell’assurdo. La madre di Elenia è un medico e ora è a casa, affetta da Covid-19: troppe cose sono andate storte in questi ultimi due mesi.

    Febbraio: le visite a centinaia di contagiati

    “Mia madre si è recata tutti i giorni in ambulatorio – racconta Elenia a TPI – ha effettuato visite a domicilio ai pazienti gravi e ha fatto entrare in ambulatorio solo i pazienti che non presentavano sintomi febbrili, ma che comunque avevano bisogno di una visita. L’ordinanza della Regione Lombardia infatti era quella di far accedere solo su appuntamento i pazienti, per evitare assembramenti. Ebbe dei decessi, anche di persone giovani, Covid positivi, e fece loro il certificato di morte. Aveva molti pazienti positivi”.

    Il problema è stata la mancata protezione. Come spiega la figlia della dottoressa: “Continuò a fare il suo lavoro, senza uno straccio di DPI. L’ATS di Bergamo infatti le consegnò solo 8 mascherine chirurgiche e 2 pacchi di guanti monouso. In autonomia riuscì a comprare 1 mascherina con filtro FFP3 e 1 tuta monouso. Avevo l’ansia ogni volta che usciva di casa per andare a lavorare. Sapevo che il rischio di ammalarsi per lei era altissimo. Usciva di casa alle 7:30 e faceva rientro alle 20:00, se andava bene. Mi misi a contare il numero di chiamate che riceveva: una media di 150 chiamate e di 40 sms, al giorno. Aggiungiamo ovviamente le visite in ambulatorio e al domicilio. Era stremata. Non solo fisicamente, ma soprattutto psicologicamente. Piangeva per la morte dei suoi assistiti, che morivano come mosche, in pochi giorni la loro condizione si aggravava e lei non poteva fare niente. Era straziante vedere mia mamma così. È una donna forte, che ne ha viste tante durante la sua carriera professionale, ma non l’avevo mai vista piangere in quel modo per il suo lavoro”.

    Marzo: i primi sintomi gravi

    Il 14 marzo la madre di Elenia inizia a stare male. Da lì inizia un incubo ad occhi aperti. Si susseguono: febbre a 39, tosse, mal di testa, dissenteria, nausea, vomito, astenia. Ma alla richiesta d’aiuto, la risposta è tutt’altro che immediata: “In queste settimane ho chiamato 2 volte il 112, la prima volta quando mia madre è svenuta tra le mie braccia, e la seconda quando era in uno stato semicomatoso e di semi-incoscienza. E qui viene “il bello”. Entrambe le volte mi sono sentita dire: Finché respira non veniamo“.

    “Eppure c’è stata gente – continua Elenia – che in questo periodo di emergenza ha anche avuto il coraggio di cambiarla, e di passare a un altro medico perché mia madre non rispondeva subito alle telefonate. Queste vili persone dovrebbero solo che vergognarsi. Ma comunque, mia mamma ha continuato a fare quello che fa da 31 anni, e cioè curare e salvare vite. Poi però, la mia paura si è realizzata”.

    La famiglia della dottoressa si è sentita abbandonata. E i sintomi diventavano sempre più gravi: “La seconda volta invece capii che c’era qualcosa che non andava perché mia madre dormiva sempre, era sempre addormentata. Non rispondeva subito alle mie domande e faceva fatica a ricordare alcuni episodi. Anche in questo caso dopo la risposta negativa del 112 chiamai la guardia medica. Inizialmente la dottoressa negò la visita, ma poi fortunatamente, mandò una sua collega a casa, senza preavviso. (Io credo che la dottoressa avesse percepito che qualcosa non andava, infatti mi disse al telefono che se la mamma non mi rispondeva più dovevo caricarla in macchina e portarla al pronto soccorso, perché lei temeva un danno neurologico). Mia zia da Catania ha chiamato il numero verde Covid della Regione Lombardia, chiedendo disperatamente una visita per sua sorella. Alla fine la dottoressa è venuta. Diagnosi: polmonite”.

    E i tamponi? “In primis chiamai ATS Bergamo per farle fare un tampone, che è stato fatto il giorno 17 marzo. Chiesi anche un tampone per me e mio fratello, risposta: “Tanto ormai il virus ce l’avete in casa, cosa ve lo facciamo a fare”. Però a tutti quei politici e a quei VIP i tamponi li hanno fatti. Anche se asintomatici. Anche se avevano avuto anche solo un contatto di 5 minuti con un positivo. E a noi comuni mortali, niente. A noi che condividiamo la stessa casa, niente. “Disinfettate tutto, statele lontano”. Ma come posso stare lontano da mia madre che sviene? Come posso stare lontano da mia madre che non si può muovere da sola da quanto è debole?! Sono basita e arrabbiata. Ho dovuto combattere, e combatto ancora oggi, contro i mulini a vento, contro i “piani alti”. Roba da non credere”, racconta la donna.

    Aprile: oltre il danno la beffa

    In data 31 marzo Elenia riceve delle lamentele da parte di alcuni cittadini riguardo al fatto che la madre non fosse a lavorare, e successivamente ha avuto un colloquio telefonico con il Sindaco di San Giovanni Bianco, il quale sosteneva di non sapere che la dottoressa di base era ammalata e si domandava dove fosse e come mai non era stato messo un sostituto. “Spiegai al Sindaco che mia madre non era certo in vacanza – sottolinea Elenia – che non era in grado di parlare, che non aveva le forze di fare niente, e che se lui voleva qualche spiegazione doveva parlare con ATS. E gli dissi anche che ATS aveva fornito una guardia medica diurna speciale proprio per i pazienti dei medici in malattia, e quindi anche per quelli di mia mamma”.

    “La verità è che da figlia mi sono ritrovata a dover combattere non solo con questo virus, con la malattia di mia mamma, ma anche con chi sta seduto al sicuro sulla poltrona negli uffici della Regione e della Provincia. Invece di concentrarmi al 100 per cento sulla salute di mia mamma ho dovuto dividere le mie energie e usarle un po’ per curare mia mamma e un po’ per parlare e scrivere con queste persone. Queste persone non sanno cosa vuol dire sentirsi dire “Finché respira non veniamo”, non sanno cosa vuol dire sentirsi totalmente abbandonati da tutti. Io non dimentico, e farò tutto quanto in mio potere per far emergere la verità. Che è questa. E non quella che dicono loro. E le persone devono sapere”, dice indignata Elenia.

    Per fortuna il quadro clinico della mamma di Elenia sta migliorando adesso, la febbre comincia a scendere. Ma questa storia è un esempio di come quei medici che vengono chiamati eroi, spesso vengono poi abbandonati nel momento del bisogno.

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